Il Public Sector Purchase Programme (PSPP, dal 9 marzo 2015), costituisce uno dei quattro programmi per l’acquisto di titoli dell’Eurosistema e, in particolare, nel caso di specie, per l’acquisto di titoli emessi da governi, da agenzie pubbliche e istituzioni internazionali situate nell’area dell’euro. Tale programma favorisce lo spostamento verso il basso dei rendimenti di mercato, che si muovono in maniera contraria ai prezzi delle attività finanziarie, e genera un cambiamento favorevole delle condizioni di offerta del credito stimolando gli investimenti. La riduzione dei tassi di interesse, poi, favorisce il deprezzamento del cambio, stimolando ulteriormente l’attività economica. Nell’ambito del PSPP la Banca d’Italia acquista sul mercato secondario titoli pubblici italiani accollandosi interamente il rischio. Per quanto riguarda gli acquisti effettuati dalla Banca Centrale Europea in titoli di Stato, sia italiani sia di altri paesi dell’area dell’euro, e per gli acquisti di titoli emessi da entità europee sovranazionali, che complessivamente rappresentano il 20 per cento del totale PSPP, vige il principio della condivisione dei rischi tra le banche centrali nazionali dell’Eurosistema in base alla propria quota capitale.
L’incremento dell’offerta di moneta che ne deriva ha lo scopo di favorire la spesa dei consumatori e gli investimenti, impedendo il rischio di deflazione. La BCE ha acquistato titoli del debito pubblico per un valore superiore a 2 trilioni di euro fino a novembre 2019.
Nel mese di maggio 2020, la Corte Costituzionale Tedesca (Bundesverfassungsgericht) ha accolto una serie di ricorsi di carattere costituzionale riguardanti il programma e le azioni della BCE ed ha contestato al Governo e al Parlamento tedeschi di aver accettato acriticamente il Programma di acquisti di debito Pubblico, senza chiedere conto alla BCE della proporzionalità di tale misura. Nelle sentenze scaturite è stato affermato che la BCE aveva travalicato i limiti del proprio mandato e non era riuscita a fornire una spiegazione di tale comportamento o ad analizzare la proporzionalità delle sue misure dal punto di vista metodologico. Si è trattato della prima volta in cui la Corte Costituzionale Federale ha ritenuto che le azioni di un organo dell’Unione europea abbiano superato le proprie competenze (“ultra vires” dal latino “al di là dei poteri “).
Le questioni relative alle conseguenze giuridiche degli atti “ultra-vires” sono una delle preoccupazioni chiave dell’integrazione europea. Se, da un lato, i tribunali nazionali decidono in merito alla validità degli atti giuridici dell’Unione, il primato del diritto europeo corre il pericolo di essere insignificante. Se, d’altra parte, gli Stati membri dovessero completamente abbandonare il controllo sulle azioni “ultra vires” delle istituzioni e degli Enti europei, ciò potrebbe comportare modifiche arbitrarie del trattato o un’estensione delle competenze dell’Unione. Infine, c’è da tenere in considerazione il cosiddetto “principio del conferimento”, che significa che le istituzioni europee possono agire solo nell’ambito dei poteri loro conferiti dagli Stati membri.
Nel caso in esame, i Giudici di Karlsruhe sono stati dell’opinione che la BCE sia stata negligente. L’opinione della Corte, però, può essere rettificata in modo abbastanza semplice dalla BCE, effettuando un riesame della proporzionalità della propria azione. Tuttavia, fino a quando ciò non sarà fatto, alla Bundesbank sarà vietata l’attuazione delle decisioni concernenti il PSPP.
La decisione della Suprema Corte di Germania ha posto con forza una questione essenzialmente politica, perché riguarda l’identità stessa dell’Unione e il delicato equilibrio tra la sovranità degli Stati membri e l’Unione, tra una “confederazione di governi” e un “governo federale”. La reazione di Bruxelles è stata dura e la Commissione sta attualmente esaminando un procedimento di infrazione da avviare nei confronti della Germania.
Anche la tempistica del giudizio della Corte potrebbe sembrare a prima vista inopportuna in tempo di COVID19. Alcuni ritengono, infatti, che la Corte avrebbe dovuto intervenire prima, subito dopo la grande crisi finanziaria del 2008. Però, anche in questo caso l’apparenza può ingannare. Nelle sentenze “Solange” del 1974 e del 1986, la Corte tedesca aveva dichiarato di riservarsi l’ultima parola sui conflitti tra il diritto dell’UE e i diritti fondamentali garantiti in Germania dalla Legge fondamentale. La sentenza del 2020 della Corte si basa, però, sulla sentenza Maastricht del 1993. Tuttavia, a quei tempi c’era una differenza cruciale rispetto al giorno d’oggi: l’Unione monetaria e l’euro non erano ancora stati attuati.
di Carlo Marino