Da quando è stata fondata la moderna Repubblica di Turchia nel 1923, le sue relazioni con i paesi europei e successivamente con l’Unione europea sono state continue. Il processo di modernizzazione avviato da Mustafa Kemal Atatürk si fondò su principi volti a forgiare un Paese orientato all’Occidente. Tale disegno socio-politico concernente i valori occidentali ha prodotto una peculiare dicotomia: da un lato, l’Occidente è stato considerato un modello ideale di civiltà, dall’altro è stato percepito come una forza imperialista determinata a colonizzare e dividere la Turchia.
Fino al vertice di Helsinki del 1999, tuttavia, la visione politica nei confronti dell’Europa e la retorica sulla piena adesione della Turchia all’Unione Europea sono state relativamente semplici, con un consenso abbastanza stabile tra i principali partiti politici turchi e l’élite laica. Nonostante l’entusiasmo europeo abbia attraversato varie tappe ed sia stato declinato in vari modi dai partiti politici, con alcune eccezioni più estremiste che rifiutano l’idea di una Turchia radicata nei valori occidentali, la percezione generale è stata sostanzialmente a favore.
In altre parole, mentre l’impronta europea della Turchia e il relativo processo di europeizzazione costituivano un punto chiave del kemalismo e della sua élite laica, una volta che la Turchia è stata formalmente riconosciuta come paese candidato ad entrare nell’Unione è stato avviato anche un concreto processo di riforme interne. Nel contempo, però, l’enfasi sull’adesione all’Europa e alla sua logica riformista, ha cominciato a dividere lo spettro politico turco, emergendo come una questione centrale della controversia politica. Dal punto di vista della partecipazione alle organizzazioni internazionali, la Turchia è stato il tredicesimo Stato membro ad aderire al Consiglio d’Europa nel 1951 e nel 1952 ha aderito all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO).
Inoltre, per il flusso di investimenti e gli interessi condivisi, come la lotta al terrorismo e la riduzione delle migrazioni irregolari, la Turchia è stata un importante interlocutore per l’Unione Europea e per la sua stabilità. In tale quadro, infatti, la gestione delle migrazioni è stata una componente chiave delle relazioni, contribuendo, a seconda delle diverse circostanze, a plasmare la cooperazione e a suscitare sia vicendevole credibilità che dubbi reciproci. Tra gli ultimi esempi in tal senso va ricordata la dichiarazione UE-Turchia, concordata con gli obiettivi principali di smantellare la migrazione irregolare e migliorare le condizioni dei rifugiati in Turchia, che all’inizio del 2020 si è scontrata, però, con la “politica della porta aperta” di Ankara, una sorta di ‘arma di pressione’ verso l’Europa.
Ultimamente le relazioni hanno vissuto momenti di bassa a causa, tra l’altro, delle operazioni militari di Ankara nel nord della Siria e a causa del suo posizionamento assertivo nei conflitti vicini fino alla Libia e a causa delle attività di perforazione svolte da Ankara nel Mediterraneo orientale in aperto conflitto con la Grecia, Stato membro dell’Unione. Dall’altra parte, critiche sono state mosse dalla Turchia sulla presunta doppia morale di Bruxelles nei confronti del processo di adesione di Ankara e, più recentemente, sulla mancanza di progressi in tal senso, in particolare per quanto riguarda la liberalizzazione dei visti, il potenziamento dell’Unione doganale e l’andamento dei negoziati per la piena adesione della Turchia all’UE.
Al vertice di Helsinki tenutosi nel dicembre 1999 la Turchia fu ufficialmente riconosciuta come Stato candidato all’adesione all’Unione Europea. Durante il vertice, il Primo Ministro Bülent Ecevit espresse la convinzione che la Turchia sarebbe stata un membro a pieno titolo dell’Unione in un breve periodo di tempo “dato il dinamismo del popolo turco e il suo attaccamento alla democrazia”. Nella sua appassionata dichiarazione, egli ribadì l’importanza della Turchia per l’Europa a livello culturale, economico, politico e di sicurezza ricordando il ruolo del Paese all’interno della NATO durante i decenni della Guerra Fredda; la sua importanza come “terminale energetico dove le ricchezze di gas e petrolio del bacino del Caspio e del Caucaso saranno trasportate sui mercati mondiali”; la sua ricchezza in termini di coesistenza di credenze religiose diverse. Ecevit era pienamente consapevole degli adeguamenti necessari per raggiungere un posto all’interno degli Stati membri dell’UE, ma manifestò ottimismo e determinazione a superare gli ostacoli considerando la “propensione e la ricerca del popolo turco al cambiamento e alla modernizzazione”.
L’anno 2015 segnò un punto di svolta significativo nelle relazioni tra UE e Turchia. L’Unione europea registrò un afflusso senza precedenti di rifugiati, soprattutto in fuga dalla Siria, verso i suoi paesi di confine: 1.255.600 richiedenti asilo per la prima volta che chiedevano protezione internazionale negli Stati membri dell’Unione europea (UE), più del doppio rispetto all’anno precedente e quasi 1 richiedente asilo su tre per la prima volta proveniva dalla Siria. Tra novembre 2015 e marzo 2016, i leader dell’UE e le controparti turche si incontrarono tre volte per discutere sui temi del rafforzamento della cooperazione bilaterale e della gestione della crisi migratoria. L’incontro di novembre a Bruxelles mirava a rilanciare il processo negoziale attraverso la cooperazione sui temi della lotta al terrorismo, della gestione delle migrazioni, dell’aggiornamento dell’Unione doganale e della liberalizzazione dei visti. In quell’occasione fu adottato il Piano d’azione congiunto e ci furono ulteriori impegni per organizzare riunioni ad alto livello, per aprire il capitolo del processo di adesione su “ulteriore integrazione economica con la Turchia” e per “avviare i lavori di preparazione su ulteriori capitoli”. Dal 2016, lungo lo stallo del processo di adesione, le relazioni tra Turchia e Unione Europea hanno vissuto momenti di declino, anche se è sempre stata ricordata l’importanza strategica della Turchia come partner chiave dell’UE.
L’atteggiamento dell’UE nei confronti di Ankara procede lungo la strada di una “critica cosmetica” derivante sia dal diverso posizionamento degli Stati membri dell’UE nei confronti della politica estera di Ankara sia dall’importanza che la Turchia ha per l’Unione, in particolare per motivi economici e di sicurezza. L’anno 2021 sembra essere iniziato con l’obiettivo di rilanciare la cooperazione bilaterale da entrambe le parti. A fine gennaio il ministro degli Esteri Çavusoğlu ha incontrato a Bruxelles numerosi rappresentanti dell’UE, tra cui il presidente della Commissione europea, il presidente del Consiglio europeo, alcuni membri del Parlamento europeo e il segretario generale della NATO, tra gli altri.
Çavusoğlu ha ribadito la volontà della Turchia di aggiornare la Dichiarazione del 18 marzo (solitamente chiamata “accordo” e firmata appunto il 18 marzo del 2016 attraverso la quale l’Ue e la Turchia definirono un accordo per il rimpatrio di tutte le persone, anche i richiedenti asilo, che giungevano irregolarmente sulle isole egee in Turchia) e l’unione doganale con l’UE aggiungendo che non si possono ottenere risultati con il linguaggio delle sanzioni. La questione dell’adesione della Turchia all’Unione Europea continuerà ad essere al centro delle relazioni tra questi due mondi anche se Ankara oggi sta guardando con sempre maggiore interesse e sensibilità alle istanze delle comunità di lingua turca presenti nel Caucaso e nell’Asia centrale in un rinnovato spirito di “fratellanza panturca”.
di Carlo Marino
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