Dare spazio e voce ad un nuovo umanesimo dell’agrobiodiversità: questo in sintesi il progetto che AVASIM (Alleanza per la Valorizzazione delle Antiche Sementi Italiane e del Mediterraneo) propone attraverso la valorizzazione del patrimonio di “buoni sapori”, tramandati dal mondo contadino e la loro condivisione nella nostra comunità contemporanea.
AVASIM, consorzio internazionale di ricerca e promozione, vuole accogliere e aggregare tutti i numerosi e appassionati attori delle filiere agroalimentari delle antiche sementi italiane, dalla cerealicola a quella ortofrutticola, dalla vitivinicola alle erbe aromatiche. La convinzione che muove il progetto è che la nostra heritage seeds economy abbia il potenziale, ad oggi in larga parte ancora inespresso, di rendere ancora più competitivo e distintivo il Made in Italy. La filiera delle antiche sementi è, infatti, legata a doppio filo alla qualità, alla storia di luoghi unici, ai saperi e alle tradizioni contadine, alla cultura di scambio e di reciprocità tra comunità e generazioni.
Lo scorso 7 luglio, presso Palazzo Colonna a Roma, è stata presentata la prima Ricerca esplorativa sul settore dei semi antichi in Italia, commissionata da AVASIM alla azienda di ricerche di mercato METRON. Lo studio presenta per la prima volta nel nostro Paese un’analisi di questo segmento agroalimentare italiano, in riferimento alle sue filiere delle antiche sementi autoctone. In particolare la ricerca descrive: gli operatori attivi in Italia in tale ambito; il grado di interesse dei consumatori verso i semi antichi e i prodotti derivati; le potenziali opportunità del comparto (che ad oggi conta già numerosi consorzi di produzione nazionali, aziende, cooperative, associazioni, contadini custodi, mulini, ecc.) in termini di contributo alla crescita economica del Paese, anche nel solco dei principi della sostenibilità e della transizione verde in corso.
L’industrializzazione dell’agricoltura ha portato ad un impoverimento della nostra alimentazione, perché ha determinato la concentrazione della produzione su un ristretto numero di varietà vegetali, spesso provenienti dall’estero e dalla grande resa in termini di prodotto omogeneo e standardizzato e di quantità, grazie all’uso di fertilizzanti e pesticidi chimici. Nel tempo l’industrializzazione agricola ha portato all’abbandono e all’estinzione di moltissime varietà antiche locali, che rappresentavano la base della Dieta Mediterranea.
Lo sradicamento di molte colture autoctone ha determinato importanti modifiche ambientali e climatiche con danni anche alla nostra salute. Fortunatamente centinaia di varietà di semi antichi non modificati geneticamente, nati e coltivati in Italia e storicamente presenti nelle nostre regioni fino agli anni ’70, sono arrivati fino a noi e sono tornate ad essere coltivate. A questa riscoperta ha contribuito la sempre più diffusa consapevolezza che, per una alimentazione sana e la salvaguardia dell’ambiente, sia fondamentale tornare alla biodiversità agricola del passato.
La ricerca esplorativa ha evidenziato che il settore dei semi antichi è sommerso, frastagliato, difficile da quantificare e apparentemente ancora sottosviluppato. Nelle rilevazioni condotte, i consumatori hanno manifestato un alto interesse per i semi antichi, anche alla luce delle riflessioni su quanto accaduto nel mondo agricolo e nei nostri territori. Il ritorno a questa coltivazione viene visto positivamente ed un’altissima percentuale degli intervistati, l’89%, considera molto credibile che il ritorno alla coltivazione delle varietà antiche locali possa migliorare alimentazione e salute e contribuisca alla salvaguardia dell’ambiente, con una misura statisticamente più alta tra gli intervistati residenti al Sud e nelle Isole. Tra gli effetti della diffusione dei semi antichi che vengono considerati degni di rilievo, la ricerca mostra che i consumatori ritengono importante anche il piacere di gustare varietà diverse da quelle attualmente conosciute, mentre per i piccoli agricoltori si apre la possibilità di incrementare il proprio reddito grazie alla coltivazione di varietà più pregiate. Per i ristoratori vi è la possibilità di diversificare il menù attraverso l’utilizzo di materie prime derivanti da semi antichi. Anche le imprese di trasformazione, molini, pastifici, panifici ecc., vedono interessante l’opportunità di aumentare le proprie vendite in Italia e all’estero attraverso il lancio di nuovi prodotti da semi antichi.
Per AVASIM per l’affermazione dell’economia dei semi antichi è necessario promuovere una tutela legislativa nazionale, ad oggi assente. Per questo motivo AVASIM si è dotato di un comitato tecnico-scientifico, formato da docenti universitari e professionisti del diritto. La tutela legislativa dovrà comprendere un quadro normativo d’insieme, che permetta l’ingresso dei semi antichi all’interno del patrimonio culturale nazionale nell’accezione di beni culturali, fondamentali della tradizione agroalimentare italiana. Un’azione di sistema, in cui il comparto dei semi antichi si presenti compatto ed unitario, incentrata sulla divulgazione, comunicazione e sul marketing delle antiche sementi in Italia e all’estero, potrebbe portare il nostro Paese ad una leadership culturale, scientifica ed economica sulla scena globale in questo settore. L’elaborazione di un piano strategico nazionale è la via maestra per raggiungere questo posizionamento internazionale. Del resto l’unicità, la storia e la ricchezza della agrobiodiversità nostrana nelle classifiche internazionali è già un dato di fatto, basti pensare che il 25% della biodiversità agraria presente in Europa è costituita da quella di una sola regione italiana, la Sicilia.
Importante è, quindi, questo appello ad uno sforzo di tutti gli attori della filiera dei semi antichi per mettere a frutto l’insieme di competenze, conoscenze e tradizioni, che vanno dal paesaggio alla tavola e che riguardano le culture e le colture, i saperi ed i sapori a rischio di estinzione, l’unicità del nostro patrimonio culturale immateriale.
di Rosaria Russo