Sono state tante le polemiche che hanno accompagnato il lancio dell’ App Immuni a partire dalla violazione della privacy fino al maschilismo delle icone.
Ad oggi l’App anti contagio, voluta dal Ministero dell’Innovazione e gestita da quello della Salute, è stata scaricata da circa 3 milioni di italiani.
Disponibile dal 1 giugno 2020, e funzionante su tutto il territorio nazionale dal 15 giugno, permette alle autorità sanitarie di rintracciare ed avvertire, attraverso notifiche, i soggetti a rischio.
Il sistema ricostruisce i contatti avuti con coloro che sono risultati positivi al test in forma anonima.
Ma per poter funzionare davvero, è necessario che buona parte della popolazione installi l’App.
A breve il Ministero della Salute dovrebbe comunicare il numero di notifiche inviate, e qual è la quota di popolazione minima necessaria, affinché sia una vera contromisura, per evitare di incorrere nel caso Singapore, fra i primi Paesi ad aver lanciato una app simile, chiamata Trace Together, scaricata solo dal 18 per cento degli abitanti. Tanto che il 5 giugno il Governo ha annunciato di voler sostituire la App con un braccialetto elettronico.
In pratica Immuni è in grado di registrare in forma anonima quando due utenti, che hanno deciso di scaricarla, restano a contatto tra i 5 e i 30 minuti e a meno di 2 metri di distanza.
Questo incontro, attraverso dei codici anonimi assegnati ad ogni utente da cui è impossibile risalire alla loro identità, viene memorizzato per 14 giorni sui singoli smartphone (e non su un server centrale).
Quando le strutture sanitarie e le Asl riscontrano un nuovo caso positivo, accertato con un tampone, dietro consenso del soggetto stesso inseriscono il suo codice anonimo di Immuni all’interno di un database.
In pratica, incrociando i dati in automatico, viene inviata una notifica agli utenti con i quali il paziente positivo è stato in contatto. Assieme a questa notifica, l’utente riceve anche un grado di allerta definito dalle autorità sanitarie, da cui dipendono le indicazioni successive.
Ma cosa sta accadendo a livello internazionale? Vediamo come sono le app di contact tracing in giro per il mondo.
Francia e Regno Unito hanno scelto una soluzione che prevede che i dati degli utenti – appositamente crittografati – siano registrati sui server del sistema sanitario nazionale.
La Svezia preferisce invece rendere disponibili i dati, grazie all’accordo con l’operatore mobile Telia, al governo. I dati sono anonimizzati ma anche aggregati.
La Norvegia era su una strada identica alla Svezia, nonostante alcuni appelli per passare al modello decentralizzato. Gli appelli non sono stati ascoltati, ma il garante della privacy norvegese ha obbligato il governo a chiedere ai cittadini di disinstallare l’app, perché la situazione sanitaria non giustifica tanta invadenza su dati sensibili.
Tutti gli altri Paesi Ue, Italia compresa, hanno seguito il modello Apple-Google, che prevede che i dati non abbandonino mai il telefono dell’utente.
In Europa tutte le app già pronte e quelle in via di sviluppo utilizzano la tecnologia bluetooth per riconoscere il contatto con un contagiato, la tecnologia è considerata la meno invasiva per la privacy, perché non tiene traccia degli spostamenti geografici dei cittadini, ma solo dell’incontro con altri telefoni di utenti positivi. Eccezione a questa regola continentale l’Islanda, che preferisce invece il GPS.
In Qatar l’app è obbligatoria, pena la carcerazione. Le tecnologie usate per il tracciamento sono sia il GPS sia il bluetooth. I dati vengono archiviati su un server centrale (nazionale), come in UK e in Francia ma non vengono anonimizzati, il che mette a serio rischio dati sensibili, come già denunciato da Amnesty International.
Gli Stati Uniti hanno seguito le indicazioni di Apple e Google. L’app funziona tramite bluetooth, i dati restano sullo smartphone degli utenti. Ogni stato federale ha facoltà di sviluppare la propria soluzione all’interno delle regole, stabilite dal Center for Desease Control and Prevention.
Mentre nella UE il download e l’installazione delle app di contact tracing è volontaria, in Russia, ad esempio, gli over 14, se vogliono uscire di casa devono scaricare l’app o registrarsi su un sito governativo, entrambi gli accessi conferiscono ad ognuno un codice QRcode.
Molto particolare il metodo russo per controllare che i positivi rispettino la quarantena: periodicamente gli viene chiesto di mandare un selfie per dimostrare di essere rimasti chiusi in casa, in caso d’infrazione (o di mancata risposta alla richiesta governativa) scatta la multa.
L’app israeliana, una tra le prime ad essere distribuite – su download volontario – alla popolazione, traccia gli spostamenti dei cittadini, ma i dati rimangono sugli smartphone e non finiscono al ministero della salute. La particolarità di questa soluzione è che per monitorare i cittadini si utilizzano sia il GPS che la localizzazione tramite Wi-Fi.
La meno libertaria delle soluzioni per il tracciamento è quella adottata in estremo oriente da Cina e Corea del sud. La scelta, nel bilanciamento tra privacy e controllo, è stata operata a vantaggio del controllo. Le app sono obbligatorie – e tracciano gli spostamenti dei singoli individui. In Cina ad ognuno è assegnato un colore di rischio (verde, giallo e rosso), che indica la pericolosità virale di ogni persona.
In Corea invece l’app informa i cittadini di tutti i focolai presenti sul territorio e li avvisa a cento metri di distanza dal focolaio.
di Valentina Lombardo Di Monte Iato