Uno studio comparso sul Journal of Clinical Medicine (MDPI) si è occupato delle cure domiciliari precoci praticate dai medici volontari della rete Ippocrate.org, nel periodo compreso tra novembre 2020 e marzo 2021. In base alle risultanze di tale studio, gli interventi avrebbero ridotto la mortalità da Covid-19 dal 3 allo 0,2 per cento, soffermandosi poi sulle modalità e prassi seguite dai medici nel periodo predetto. Lo studio ha riguardato 392 pazienti (età media 48,5 anni) e 10 medici, soggetti presi in cura prevalentemente nei primi stadi dell’infezione.
Tra loro non mancavano pazienti (considerati fragili) affetti da obesità, patologie cardiovascolari o metaboliche. I farmaci più comunemente somministrati comprendevano vitamine e integratori, aspirina, antibiotici, glucocorticoidi, idrossiclorochina, enoxaparina, colchicina, ossigenoterapia e ivermectina, senza nessuna reazione avversa di particolare rilievo.
Il tasso di ospedalizzazione è risultato estremamente ridotto (poco più del 5 per cento dei casi), mentre la percentuale di guarigione sfiora il 100 per cento (con un solo decesso dopo il ricovero in ospedale), a fronte di una percentuale di letalità che, nello stesso periodo, era stimata intorno al 3 per cento.
Lo studio, già disponibile in preprint da aprile, è oggi liberamente disponibile sulla citata rivista. Nelle conclusioni leggiamo: “Ci aspettiamo che le prove attuali saranno attentamente considerate dai medici che si prendono cura dei loro pazienti COVID-19 e dai decisori politici responsabili della gestione dell’attuale crisi globale.” Tutto questo si scontra inevitabilmente con diverse dichiarazioni – facilmente reperibili in rete – dei tanti esperti che asserivano l’inesistenza e/o l’inefficacia di ogni terapia avverso l’infezione.
Ma saranno le competenti autorità a verificare la correttezza delle indicazioni e degli approcci seguiti, a noi spetta solo il compito di riportare lo studio e relativo link: www.mdpi.com/2077-0383/11/20/6138.
di Paolo Arigotti