Trieste ha ospitato il 18 e il 19 settembre la seconda edizione delle Giornate del Mare di Limes, importante rivista di ricerca geopolitica. Il tema di grande attualità ma poco presente nel dibattito pubblico è stato il Medioceano, la terra vista dal mare.
Lucio Caracciolo, Diego Fabbri e Alfonso Desiderio hanno condotto i dibattiti svoltisi nelle due giornate con l’intervento del Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, esperti come George Friedman, Shaul Chorev, Kikuchi Tsutomu, il capo di Stato Maggiore della Marina Militare Giuseppe Cavo Dragone, l’Ammiraglio De Giorgi tra gli altri.
Nell’ultimo decennio il Mediterraneo ha cambiato ruolo nel gioco delle parti e della competizione tra vecchi e nuovi attori dello scacchiere mondiale. L’Italia, che si trova al centro di esso, fatica a comprendere e soprattutto a mettere in atto azioni che tutelino non solo la sicurezza dei propri confini che sono terracquei ma i propri interessi strategici.
Le Giornate del Mare si pongono come un momento per riflettere insieme ad esperti e per sensibilizzare politici ed opinione pubblica ed i vari attori coinvolti, sui cambiamenti in atto che rendono oggi il Mediterraneo non più un mare Nostrum, chiuso e statico ma un nuovo campo di azione e conflitto. Il Mediterraneo è ormai percepito come un Medioceano ovvero un connettore naturale tra l’Indo-Pacifico, dove si svolge attualmente l’azione strategica più rilevante della superpotenza americana, di contenimento delle aspirazioni di supremazia cinesi in quell’area, e l’Atlantico dove le frizioni tra Usa e Russia si spostano sullo stretto di Bering, nuova possibile rotta, grazie ai cambiamenti climatici, per le merci mondiali. Controllare il mare oggi più che mai significa controllare il potere economico reale, poiché la maggior parte del traffico di merci si svolge proprie lungo le rotte marittime. Ben il 90% di tutto il commercio mondiale viaggia via mare, che si presenta come il sistema più economico ed ecologico. La popolazione del globo per l’80% vive a non più di 200 Km dal mare e da ultimo, elemento non meno fondamentale, sulle dorsali marine viaggia la maggior parte delle telecomunicazioni.
Assistiamo dunque, come emerge dal dibattito svoltosi a Trieste, ad una territorializzazione del Mediterraneo: l’acqua, potremmo dire, si fa nuova terra contesa ed il suo controllo non è più una questione di sfruttamento di risorse ittiche o fonti energetiche o passaggio di esse. Non è un caso che ormai nuove presenze in esso mettono in crisi i vecchi equilibri. Nel vicino fronte africano, su cui il nostro paese dovrebbe concentrare attenzione ed azione anche militare, Russia e Turchia sono giunte a creare stabili e solide basi, tra la Cirenaica e la Tripolitania. La conseguenza è che siamo sempre più messi fuori gioco in territori, dove storicamente abbiamo esercitato influenza e dove le nostre aziende, come l’ENI, hanno contribuito a soddisfare il fabbisogno energetico del paese.
Si rende necessario, per cogliere i processi in fieri, un cambio di prospettiva, guardando al nostro paese dalla parte del mare, più che dalla terra. Ciò significa pensarsi come paese marittimo e quindi dotarsi delle più moderne tecnologiche per i porti ed implementare anche la presenza di una moderna flotta militare. Come ricorda anche il Ministro Guerini, non meno importante è creare una strategia politica del Paese per il Mediterraneo, non solo in azione congiunta con Nato e altri partner europei. Se ad oggi l’Italia ha sempre guardato e voluto il Mediterraneo come spazio libero, la situazione non consente più tale approccio. L’assenza di una strategia marittima appare sorprendentemente paradossale per la nostra penisola, al centro del Mediterraneo ma senza una strategia che ne consegua. Di qui il ragionare alle Giornate del Mare di dotarsi di un centro nazionale di coordinamento strategico ma anche implementare un’azione per definire lo status giuridico del Mare nostrum. Allo stato attuale le ZEE (zona economica esclusiva) che delimitano le aree di mare, adiacenti alle acque territoriali, in cui poter esercitare diritti sovrani per la gestione delle risorse naturali, ricerca scientifica, protezione dell’ambiente marino ed installazione di strutture artificiali, stanno già creando frizioni per sovrapposizioni e non ben definiti o contrattati limiti. Anche la Blue Economy gioca la sua parte e può rappresentare un’occasione soprattutto per il Mezzogiorno da non perdere. Si tratta di un sistema di azioni, dalla acquacoltura, le energie rinnovabili marine al trasporto marittimo e turismo sostenibile per la transizione ecologica del Sud. Senza un’economia del mare si rischia un ripiegamento nei ristrettii confini costieri e la perdita anche del controllo dei fenomeni, dovuti al cambiamento climatico e alle attività umane, che stanno impattando duramente sul Mediterraneo. Qui, dove ogni anno, un terzo del commercio marittimo globale transita per il Canale di Sicilia, muovendosi attraverso il sistema di Stretti (Gibilterra, Suez, Dardanelli) e collegando gli oceani, il riscaldamento corre ad un ritmo veloce compromettendo tutto l’ecosistema.
Sul canale youtube di Limes è possibile rivedere tutti i dibattiti.
di Rosaria Russo