In Italia il fenomeno della cosiddetta editoria a pagamento (EAP) non nasce negli ultimi anni: già nell’Ottocento esistevano dinamiche analoghe, allora si parlava di pubblicazione su commissione. Tuttavia, l’aumento esponenziale degli aspiranti autori, specie a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, ha contribuito a incrementare significativamente le pubblicazioni a pagamento, vuoi sotto forma di contributi a vario titolo, che sub specie di acquisto vincolato di un certo numero di copie e/o di vari servizi editoriali.
L’aumento dei costi, a cominciare da quello della carta, ha ulteriormente acutizzato tali dinamiche. Per quanto non manchino esperti del settore che mettano in guardia contro le EAP, non foss’altro argomentando dal fatto che una casa editrice, in quanto imprenditore, dovrebbe farsi carico del rischio d’impresa e credere negli autori che pubblica, invece che puntare a fare di loro il target di riferimento, è innegabile che contratti del genere siano molto diffusi, specie tra i cosiddetti esordienti, che ambiscono sopra ogni altra cosa di vedere la loro opera pubblicata, secondo il fenomeno ribattezzato come vanity press.
Si tratta, è bene precisarlo, di contratti perfettamente legali, ma sarebbe auspicabile che chi scrive e ambisca a vedere il proprio nome sulla copertina del libro, punti soprattutto alla qualità, magari passando per una fase di studio e preparazione e affidandosi a professionisti certificati, accettando se del caso anche un rifiuto, quando la propria opera non risponda a certi requisiti.
di Paolo Arigotti