E’ da qualche mese che i 4000 dipendenti degli Ordini e Collegi professionali vivono una situazione di disagio e di preoccupazione che deriva dai provvedimenti emanati dal governo in tema di liberalizzazione delle professioni e riforma degli ordinamenti professionali.
I temi in discussione, quindi, sono due ed è bene tenerli separati. Liberalizzare l’accesso alle professioni e riformare gli ordinamenti professionali.
In presenza di ben 28 professioni regolamentate la frase “liberalizzazione delle professioni” è troppo generica e non tiene conto delle diverse realtà specifiche ed ordinamentali delle varie professioni.
L’art. 3 della legge n. 148/2011 è intitolato “Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso ed all’esercizio delle professioni e delle attività economiche”. Ora perché quando si parla di liberalizzare le professioni qualcuno sostiene la necessità di sopprimere gli ordini professionali e quando si parla di liberalizzare le attività economiche nessuno sente la necessità di sopprimere le Camere di Commercio?.
Compito delle Camere di Commercio è la tenuta del “Registro delle imprese” con funzione di “anagrafe” delle stesse ai fini del governo e della trasparenza nello svolgimento delle attività economiche.
Funzione degli Ordini professionali è quello di tenere l’Albo degli esercenti una data professione, ha quindi funzione di “anagrafe” dei professionisti, di governo della professione, di trasparenza e di garanzia per il cittadino.
Certo non sfugge una differenza importante fra queste due istituzioni, la camera di commercio è l’istituzione pubblica, la difesa corporativa è svolta dai vari sindacati, (dei commercianti, degli artigiani ecc.).
Negli Ordini professionali la funzione pubblica (di garanzia per il cittadino) e la difesa corporativa sono connaturate in un unico ente. I detrattori degli ordini professionali non vedono (o non vogliono vedere) tale funzione pubblica e focalizzano la loro attenzione solamente sull’aspetto corporativo degli ordini professionali anche se a ben vedere la realtà e molto più complessa ed articolata..
Sopprimendo gli ordini professionali si elimina la “corporazione” ma si perde anche la funzione pubblica che svolgono gli ordini professionali, funzione che svolgono, è bene dirlo, senza alcun onere per le casse dello Stato (in altri termini gratis per i cittadini) ma con oneri esclusivamente a carico dei professionisti iscritti.
Senza l’Ordine professionale (che ha il compito di tenere l’Albo degli iscritti) ci troveremmo in uno strano paese dove un’impresa è tenuta all’iscrizione alla Camera di Commercio, ed invece chiunque potrebbe esercitare una professione (Medico, Ingegnere, Architetto, Avvocato, ecc), senza che ci sia un organo di garanzia per il cittadino che certifichi che il professionista ha effettuato il percorso di studi necessario per esercitare la data professione, ma non solo, che tale “sapere” è stato alimentato da un continuo aggiornamento professionale.
Anche i provvedimenti contenuti nella manovra del governo Monti, all’art. 33 prevedono la “soppressione delle limitazioni esercizio attività professionali”.
In tale articolo una disposizione illogica ed irrazionale prevede che un’inerzia del governo stesso nel riformare gli ordinamenti può portare alla soppressione degli ordini professionali alla data del 13 Agosto 2012.
L’art. 34 dello stesso provvedimento tratta della liberalizzazione delle attività economiche, ma mica è previsto che l’inerzia delle Regioni ad adottare le misure previste porta alla soppressione automatica delle Camere di Commercio.
Insomma liberalizzare o regolamentare in maniera diversa l’accesso ad una data professione non deve implicare necessariamente la soppressione della funzione “pubblica” di tenuta dell’Albo, come regolamentare in maniera differente l’esercizio di un’attività commerciale non implica la soppressione del registro delle imprese.
Tornando alla “Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso ed all’esercizio delle professioni” di cui alla legge n. 148/2011, è interessante notare come, ad esempio, per la professione di Medico già da tempo l’organo di categoria (Federazione degli Ordini) denuncia, nell’arco dei prossimi 10 anni, una carenza di Medici stimata in 35.000 unità, sotto accusa è il sistema del numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Medicina e Chirurgia.
Tale “restrizione” operata dalle Università porterà il nostro paese ad un paradosso che si è già verificato in Inghilterra, da un lato un’alta disoccupazione giovanile, dall’altra la necessità di reperire alcune figure professionali nell’ambito sanitario (la carenza coinvolge anche gli infermieri professionali per circa 25.000 unità) attingendo a lavoratori comunitari o extra comunitari.
Paradosso tragico per le migliaia di giovani che cercano uno sbocco professionale e che vedono frustrate le loro legittime aspettative, dalla superficialità di un governo che riformando gli ordinamenti professionali pensa di liberalizzare le professioni, dalla cecità di coloro che vedono negli ordini professionali una sorte di “male assoluto” da sopprimere, tralasciando quello che è una vera governance delle professioni che imporrebbe la messa in campo di misure idonee ad eliminare le VERE restrizioni all’accesso.
Nel caso dei Medici, fra la laurea, l’abilitazione (prevista dall’art. 33 della Costituzione), e l’iscrizione all’Albo, passano pochi mesi, e l’Ordine professionale non ha alcun potere (e nessuna intenzione) di ostacolare questo percorso, piuttosto l’Ordine fornisce al neo iscritto alcuni servizi (orientamento per l’inserimento nel mondo del lavoro, consulenza previdenziale, formazione ed aggiornamento professionale, ecc). Ora se nel caso in questione la “Restrizione all’accesso” sta a monte, nell’ingresso all’Università, che senso ha sopprimere l’Ordine professionale ?, è un provvedimento fuori portata, inutile, non risolverebbe il problema, a meno che per “liberalizzazione” non si intenda che la professione medica possa venire svolta anche dai cartomanti, maghi, ed indovini.
Perché piuttosto non si danno risorse all’Università per potere ampliare il numero degli studenti mantenendo inalterata la qualità dell’insegnamento?
Altro discorso è l’accesso alle professioni giuridiche (Avvocato, Notaio, Dottore Commercialista, Consulente del Lavoro), in questi casi fra il conseguimento del titolo di studio e l’esame di abilitazione si interpone un tirocinio variabile da due a tre anni. Posto che l’esame di abilitazione è previsto nella Costituzione, lo svolgimento del tirocinio è visto come una “indebita restrizione”, perché costringe il neo laureato a fornire servizi professionali a basso costo, in sostanza il tirocinio è visto come un regalo ai professionisti già affermati.
Ma a ben vedere l’art. 3 della legge 148/2001, conferma la disciplina del tirocinio e quindi nulla innova o “liberalizza” in tal senso.
Nel caso delle professioni giuridiche può essere opportuno modificare le regole di accesso alla professione ed il provvedimento del Governo Monti in tal senso riduce la durata del Tirocinio a 18 mesi, molto potrebbe ancora essere fatto in tale settore, ma che senso ha sopprimere l’Ordine professionale ?, chi verificherebbe la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge per l’accesso alle suddette professioni ?
Come si vede rispetto alle professioni sanitarie altri sono i problemi, altri gli interventi possibili ed opportuni.
In merito alle professioni tecniche (Ingegnere, Architetto, Agronomo), fra la laurea e l’abilitazione non è previsto alcun tirocinio, come per i Medici, fra laurea, abilitazione ed iscrizione all’albo passano pochi mesi, e quindi non si capisce dove stia l’indebita restrizione all’accesso a meno che non si voglia far svolgere tali professioni anche ai manovali di cantiere.
Tutte le professioni hanno una loro autonoma Cassa di Previdenza, la soppressione degli Ordini comporterebbe seri problemi di sopravvivenza delle Casse privatizzate in quanto perderebbero il collegamento con la categoria di riferimento non potendo contare sulla tenuta di un Albo da cui reperire I soggetti tenuti al pagamento dei contributi previdenziali necessari per la loro sopravvivenza.
Viene quindi da chiedersi se l’attacco agli ordini professionali sia più subdolo ed abbia come obiettivo in realtà il patrimonio di tali enti previdenziali stimato in circa 50 miliardi di euro investiti in beni immobili e titoli finanziari.
Se “Liberalizzare” l’accesso alle professioni richiede una conoscenza seria e non superficiale delle varie realtà professionali (in sintesi non tutte le professioni sono uguali ed hanno gli stessi problemi e quindi non ci può essere un unico provvedimento che vada bene per tutte), riformare gli ordinamenti professionali, è un altro problema e non va confuso con la modifica delle regole di accesso alle professioni.
La scadenza del 13 Agosto 2012, incombe nella riforma degli ordinamenti professionali e in pochi mesi, si dovrebbe fare quello che in almeno 20 anni non è stato fatto.
Gli ordinamenti professionali potrebbero essere riformati, in maniera razionale, prevedendo l’accorpamento di ordini professionali affini al fine di evitare una frammentazione degli stessi e dimensioni troppo piccole per potere essere considerati a pieno titolo enti pubblici (professioni quali, ostetriche, periti agrari, periti industriali, agrotecnici, tecnici radiologia medica ecc).
Verrebbe rafforzata la funzione “pubblica” di tenuta dell’Albo rispetto alla funzione “corporativa” di difesa della professione che verrebbe svolta dai sindacati di categoria.
Per quanto riguarda i procedimenti disciplinari quanto previsto dall’art. 3 della legge 148/2011, và nella direzione giusta (non si comprende però l’esclusione operata per le professioni sanitarie). Prevedere l’istituzione di organi a livello territoriale diversi dai Consigli Direttivi per l’istruttoria e le decisioni in materia disciplinare serve a rafforzare la funzione pubblica degli ordini rispetto alla difesa corporativa.
Prevedere elementi esterni alla professione negli organi di disciplina sarebbe un ulteriore passo in questa direzione nel nome della trasparenza ed a maggiore garanzia dei cittadini.