La notifica arriva dall’Istat, che ha pubblicato l’aggiornamento relativo all’indebitamento netto e al debito delle pubbliche amministrazioni italiane. Documento che certifica come l’esplosione dell’indebitamento avuta nel 2020, quando passò dai 27 miliardi dell’anno precedente a 159, ancora deve rimarginarsi. Per il 2022, infatti, l’indebitamento netto della PA italiana è pari a 156 miliardi e 442 milioni di euro.
Una situazione imputabile totalmente all’amministrazione centrale dello Stato, visto che gli enti di previdenza hanno chiuso gli ultimi quattro anni con un saldo positivo, così come le amministrazioni locali, che sono tornate a farlo nel 2022 dopo due anni chiusi con un segno meno. L’impatto di queste due realtà, peraltro, è marginale. L’indebitamento dello Stato centrale, infatti, è pari a 158 miliardi di euro, il saldo attivo degli enti previdenziali è di 1,5 miliardi, quello delle amministrazioni locali di 837 milioni
Ma quali sono le ragioni dietro a questi numeri? Nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, il governo ne individua sostanzialmente tre. La prima fa riferimento all’«impatto dei crediti di imposta legati agli incentivi edilizi introdotti durante la pandemia». Si tratta del Super Bonus 110, rispetto al quale la legge di Bilancio approvata dall’esecutivo mette definitivamente la parola fine. Secondo i dati di Enea, aggiornati al 30 settembre 2023, gli investimenti ammessi alla detrazione sono pari a 88 miliardi di euro. Il che porta il costo per le casse dello Stato a poco meno di 97 miliardi.
Non è però solo l’eredità del provvedimento simbolo del secondo governo di Giuseppe Conte a pesare sull’indebitamento netto dello Stato. La Nadef cita infatti anche altri due elementi. Ovvero «l’effetto del rialzo dei tassi di interesse sul costo del finanziamento del debito pubblico» e «la discesa dei prezzi all’importazione sul gettito delle imposte indirette». In tutto questo il debito pubblico è passato dai 2.410 miliardi del 2019 ai 2.757 dello scorso anno.
Sempre secondo la Nadef, la situazione dovrebbe tornare ad un ordine di grandezza paragonabile a quello prepandemico, almeno nel suo rapporto rispetto al Pil, nel 2026, quando si prevede che arrivi a toccare il 2,9% del Pil, contro gli 8,8 del 2021. Nel 2019, ovvero prima della pandemia, era pari all’1,5% del prodotto interno lordo.
di Massimiliano Gonzi