L’Italia è ormai un Paese a crescita zero

Facciamo sempre meno figli, gli anziani aumentano e i giovani emigrano. Risultato: l’Italia è ormai un Paese a crescita zero. Fermo, anche dal punto di vista demografico.

Un problema che presenta tanti aspetti diversi. Si ricollega ad esempio con la capacità del nostro paese di investire sulle giovani generazioni; con le condizioni economiche delle famiglie che hanno figli; con la sostenibilità a lungo termine del nostro stesso sistema economico e sociale.

Crescere e migliorare insieme si può e non può che favorire quel “sentire positivo” che è l’humus più autentico del desiderio di procreare.

Esiste anche un’altra realtà, fotografata dall’Istat un mese fa, le coppie con figli non rappresentano più il modello prevalente, mentre sono aumentate le coppie non coniugate, le famiglie ricostituite (altrimenti definite “allargate”), i single (non vedovi) e i monogenitori (non vedovi). Tramonta la famiglia classica con figli, superata dal numero dei single. Sarà un’emancipazione del soggetto?

Ma quali conseguenze porta la crescita zero?Una nazione sempre più anziana (la più alta nel pianeta dopo il Giappone) diventa lentamente, come nel nostro caso, un Paese per vecchi. Con meno persone che lavorano, pagano tasse e contributi previdenziali. Se aggiungete a ciò l’anemica fase economica, altra crescita di fatto pari a zero, è chiaro che l’allarme sul debito pubblico, che proprio in questi giorni ha segnato il nuovo record storico a 2.766 miliardi di euro, diventa di colore rosso fuoco. Ogni giorno, ogni ventiquattr’ore, in Italia si contano 30 nuovi ultrasettantenni, che dal 1974 ad oggi sono passati da 3 a oltre 15 milioni. Lo stato sociale, e cioè previdenza e assistenza sanitaria, fa un enorme fatica a reggere l’onda d’urto di questa implacabile curva demografica. Così nonostante i vari interventi, non certo leggeri, sulle pensioni, l’Inps si avvia a ritrovarsi con conti non sostenibili.

Il secondo effetto della crescita zero colpisce proprio le nuove generazioni. Per sostenere le pensioni e i livelli di assistenza sanitaria già assegnati, con una coperta della finanza pubblica sempre più corta, sarà impossibile trovare le risorse per migliorare le prestazioni, e i relativi ammortizzatori sociali, per i giovani. Dunque, il conflitto è destinato ad aumentare. E non sappiamo fino a quando gli attuali pensionati potranno continuare a passare soldi a figli e nipoti, in una sorta di welfare parallelo. La terza conseguenza riguarda gli immigrati che, come sappiamo, consentono il pareggio demografico, sebbene anche loro iniziano a fare meno figli. Con i problemi che abbiamo su questo versante, e con gli spazi occupazionali di lavori tradizionalmente svolti da stranieri che si stanno saturando, quanto potrà ancora reggere la supplenza degli immigrati senza esplodere dal punto di vista sociale?

Il governo Draghi, ormai alla fine, aveva segnalato dell’opportuno seppur vago richiamo alla necessità di “invertire il declino demografico”. Sono sicuro che larga parte delle forze politiche, associazioni culturali e degli organi di informazione si occupano ancora purtroppo poco e male di demografia. Il declino, va ripetuto, non è necessariamente connesso alla diminuzione quantitativa, una seria riflessione demografica non ha a disposizione politiche rapide e semplici, ed è perfino dubbio che possa davvero occuparsene un singolo governo nel suo mandato o, comunque, solo l’insieme delle pubbliche istituzioni.

Anche una escalation della guerra in Ucraina porterebbe a una crescita nulla per quest’anno e per il 2023 sia in termini economici che di nascite.

Le previsioni sul futuro demografico in Italia restituiscono un potenziale quadro di crisi, infatti, in base alle recenti previsioni nel 2030 la popolazione residente si potrebbe abbassare fino a 58 milioni, contro i 59,6 milioni riscontrati al 1° gennaio 2020.

In Italia quindi si fanno sempre meno figli, anche rispetto a un contesto europeo dove pure la natalità è in calo. Un problema che presenta tanti aspetti diversi. Si ricollega ad esempio con la capacità del nostro Paese di investire sulle giovani generazioni; con le condizioni economiche delle famiglie che hanno figli; con la sostenibilità a lungo termine del nostro stesso sistema economico e sociale.

Ci interessa, invece, una posizione più sincera nella ricerca della verità.

di Sossio Moccia