Nelle ultime settimane abbiamo visto aumentare in modo esponenziale le persone contagiate dal COVID-19, ma esiste un modo per sconfiggerlo?
La ricerca a livello internazionale sta cercando diverse soluzioni ed affronta la sfida con approcci e metodologie diverse. Abbiamo già visto utilizzare il plasma iperimmune e gli anticorpi monoclonali su numeri ridotti di pazienti; sicuramente nel prossimo futuro i veri protagonisti della lotta al virus dovrebbero essere i vaccini. Cerchiamo di capire le differenze tra le opportunità presenti e future, che ci permetteranno di contrastare il diffondersi del virus.
Gli anticorpi monoclonali vengono prodotti ricercando nei pazienti malati gli anticorpi più potenti, presenti nelle cellule dei pazienti guariti. Una volta selezionati ed isolati gli anticorpi monoclonali è possibile riprodurli in laboratorio, senza la necessità di ricercarli nuovamente in pazienti malati. Questi anticorpi potranno essere somministrati ai malati, alle persone più esposte al contagio in modo da renderle immuni al virus oppure a soggetti positivi ma non malati per renderli resistenti al virus. Il plasma iperimmune invece viene ricavato da pazienti malati e somministrato ad altri pazienti malati, sfrutta lo stesso meccanismo degli anticorpi monoclonali, ma presenta varie differenze fondamentali: il plasma iperimmune necessita sempre di un malato per essere prodotto, presenta dei problemi di sicurezza legati a possibili trasmissioni di malattie, non può essere dato in via preventiva, la produzione è più problematica in quanto non da tutti i malati è possibile ricavarlo e può essere prodotto solo in piccole quantità. Nonostante queste problematiche è però il farmaco attualmente disponibile in varie strutture per combattere il virus; gli anticorpi clonali invece necessitano ancora di circa nove o dieci mesi per essere disponibili come farmaco. Gli anticorpi monoclonali potranno garantire l’immunità per alcuni mesi e necessiteranno di richiami per poter offrire una copertura più lunga contro il virus.
Per quanto riguarda i vaccini abbiamo diverse tipologie: abbiamo i vaccini RNA, i vaccini RNA con vettori virali, i vaccini con proteine ricombinanti con adiuvanti.
Ovviamente i vaccini vengono iniettati a persone sane e dunque sono necessari studi clinici approfonditi, al fine di poter offrire un farmaco sicuro alle persone. I primi ad entrare nelle fasi sperimentali sono stati (come abbiamo visto) i vaccini RNA, seguiti dai vaccini RNA su vettori virali. Queste due tecnologie sono nuove e poco mature e se funzioneranno, di certo non riusciranno a fornire centinaia di milioni di dosi, avendo però il vantaggio di essere disponibili per primi fra circa sei o sette mesi.
Per quanto riguarda i vaccini con proteine ricombinanti con adiuvanti, i processi in passato hanno richiesto, per lo sviluppo e la produzione di vaccini sicuri, tempi molto lunghi (quindici o anche vent’anni). In situazioni di emergenza è possibile ridurre notevolmente questo tempo (utilizzato soprattutto per sperimentazioni cliniche) e grazie alle ultime tecnologie disponibili si potrebbe ridurre questo intervallo a circa due anni e quindi averli per l’utilizzo entro un anno e mezzo o poco prima. Il vantaggio di quest’ultima tipologia di vaccini risiede nella possibilità d’impiego di impianti già esistenti per la loro produzione, situazione che garantisce la condizione di produrre centinaia di milioni o anche miliardi di dosi.
Dunque nel prossimo futuro la lotta al COVID-19 passerà imprescindibilmente dall’utilizzazione di tutti questi farmaci, purché vengano positivamente passate le varie fasi di studio clinico dei vaccini.
In attesa che ciò avvenga, l’arma migliore resta la prevenzione, avvalendosi delle protezioni personali a disposizione e da un corretto distanziamento.
di Massimiliano Merzi