La questione dell’Ucraina, al centro del discorso del presidente russo Vladimir Putin del 21 febbraio scorso, in occasione del quale è stato annunciato il riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche filorusse del Donbass (regione orientale ucraina) riapre molti scenari storici poco conosciuti in Occidente. Senza entrare nel merito della crisi, al momento troppo in divenire per avanzare qualunque previsione che rischi di essere già vecchia nel momento in cui viene formulata, proviamo a comprendere a cosa si riferisse il capo del Cremlino. “L’Ucraina è parte della storia e cultura russa” ha detto Putin e qui la memoria torna molto indietro nel tempo. Una tradizione, per la verità non condivisa da tutti gli storici, farebbe nascere il nucleo originale della Russia proprio a Kiev, capitale dell’Ucraina. Qui un leggendario principe di nome Oleg, sovrano di un popolo chiamato Rus, avrebbe fissato la sua capitale nel lontano 860 d.C.; la capitale sarebbe stata spostata a Mosca circa quattro secoli dopo, cessata la dominazione mongola su quei territori. Da questo momento in avanti l’Ucraina sarebbe divenuta una zona periferica dell’impero russo, tanto che il suo stesso nome evoca in lingua russa il significato di “marca di confine”. Venendo a tempi a noi più vicini (ed a fatti assai più certi e meno controversi), nella retorica putiniana la nazione vicina sarebbe stata una sorta di creazione artificiale di Lenin, “architetto” dell’URSS, per volontà del quale oltretutto sarebbe stata inserita nella Costituzione sovietica del 1924 il diritto alla secessione delle repubbliche dell’unione, utilizzata nel 1991 per la dissoluzione dello stato federale socialista. Per Putin questa scelta assume contorni fortemente negativi, perché avrebbe aperto le porte alla divisione tra popoli slavi, russo, ucraino e bielorusso, facendo così tramontare la “grande nazione russa”. Nel ricordare la decisione del febbraio 1954 con la quale la penisola di Crimea (annessa da Mosca nel 2014) fosse stata ceduta per volontà di Nikita Kruscev allo stato ucraino (del quale lo stesso segretario generale era cittadino), Putin evidenzia le colpe dei leader comunisti per aver piantato i semi che hanno prodotto alla lunga la disgregazione dell’URSS. Nel caso del Donbass, regione a maggioranza russofona, ci sono anche problemi di natura etnica, tanto che gli abitanti hanno subito festeggiato per le strade la decisione di Putin; gli scontri nell’area sono iniziati nel 2014 e (in spregio agli accordi di Minsk, mai realmente rispettati) hanno visto maturare una situazione esplosiva, con migliaia di morti e profughi. A peggiorare il quadro l’intervento di milizie non ufficiali (cd. battaglioni Asov, che si richiamano al collaborazionista del terzo Reich Stepan Bandera), di orientamento nazista, responsabili – ad avviso di Putin – della strage di Odessa del 2 maggio 2014, quando furono bruciati vivi diversi russofoni. Il fatto che nel 2010 Bandera fu celebrato come eroe nazionale dal presidente ucraino Viktor Juscenko non ha certo contribuito a rasserenare gli animi, tanto che la decisione è stata duramente criticata dalla UE. Quanto detto ci aiuta a comprendere una situazione di grave tensione, spesso alimentata dalla propaganda di ambedue i fronti e lo scambio di accuse certo non aiuta a risolvere l’intricata crisi ucraina. In tal senso, alimentare un clima di russofobia, per esempio ripescando un falso storico come il “testamento di Pietro il Grande”, documento confezionato nel 1797 dai rivoluzionari francesi, secondo il quale lo Zar invitato i suoi successori a conquistare l’Europa è un’altra componente di un clima fortemente divisivo che non farà compiere passi avanti in direzione della pace.
di Paolo Arigotti