Agli inizi di dicembre 2023 il governo italiano ha fatto pervenire a quello cinese una nota, con cui ha annunciato l’uscita dalla Belt and Road Initiative.
L’Italia era entrata ufficialmente a far parte della Belt and Road Initiative (BRI) cinese il 23 marzo 2019 e l’annuncio era stato dato durante la visita di Stato del presidente Xi Jinping a Roma: ciò aveva fatto dell’Italia il primo membro del G7 ad aderire formalmente al progetto commerciale e di connettività firmato dalla Cina.
Tale accordo aveva assunto la forma di un Memorandum of Understanding (MoU), e promuoveva la cooperazione bilaterale in sei diversi settori: (1) dialogo politico; (2) trasporti, logistica e infrastrutture; (3) commercio e investimenti senza ostacoli; (4) cooperazione finanziaria; (5) connettività interpersonale e (6) cooperazione allo sviluppo verde.
Con la nomina di Mario Draghi a Presidente del Consiglio, nel febbraio 2021, l’Italia aveva poi effettuato un deciso cambio di rotta, prendendo le distanze dalla precedente apertura nei confronti della Repubblica Popolare Cinese. In tal modo, Draghi aveva riportato l’Italia nel suo duplice orizzonte atlantista ed europeo.
Nel mondo geopolitico moderno, la scelta dell’Italia va vista anche nella prospettiva della costante relazione dinamica tra l’Unione Europea e la Cina.
Gli investimenti e le acquisizioni cinesi nell’Unione Europea sono aumentati in modo significativo negli ultimi anni, sollevando preoccupazioni circa il loro impatto sulle economie e sulla sicurezza europee. Le dinamiche delle relazioni UE-Cina si sono evolute in modo importante nel corso del tempo fino a giungere ad una sorta di peggioramento delle relazioni bilaterali. Tale deterioramento è stato dovuto a un numero crescente di questioni, come le risposte della Repubblica Popolare Cinese alle sanzioni dell’UE sui diritti umani, sulla coercizione economica che colpisce il mercato unico e la sua posizione sul conflitto in Ucraina. L’UE si trova ad affrontare la complessa sfida di trattare con la Repubblica Popolare Cinese sia come partner negoziale, sia come avversario economico e come concorrente sistemico.
È tale complessità a caratterizzare lo stato attuale delle relazioni UE-Cina, e stanno emergendo una serie di sfide e opportunità, pilotate da interconnessi fattori economici, politici e strategici . La Cina detiene la posizione di secondo partner commerciale dell’UE, mentre gli Stati Uniti occupano il primo posto. In particolare, nel 2020, la Cina ha superato gli Stati Uniti come principale partner commerciale dell’Europa per quanto riguarda le merci. Nel 2022, il commercio tra l’UE e la Cina è ammontato a ben 856,3 miliardi di euro. Negli ultimi dieci anni gli investimenti cinesi nell’Unione Europea hanno registrato una significativa ripresa. L’ondata iniziale di investimenti diretti esteri (IDE) cinesi nelle infrastrutture europee è iniziata nel 2008 durante la crisi finanziaria globale e la successiva crisi del debito dell’Eurozona. A partire dal 2013, il lancio della Belt and Road Initiative (BRI) e le riforme economiche approvate dal Terzo Plenum del XVIII Congresso del Partito Comunista Cinese rafforzarono ulteriormente gli IDE cinesi in Europa. Negli ultimi vent’anni, secondo una stima aggregata nell’UE sono affluiti complessivamente 120 miliardi di euro di IDE cinesi, con un picco raggiunto nel 2016. Le preoccupazioni dell’UE nei confronti degli investimenti diretti esteri cinesi ruotano principalmente attorno al ruolo del governo cinese nella strategia di investimento cinese e al rischio associato di trasferimento di tecnologia dall’UE alla Cina. L’economia politica cinese è caratterizzata da una significativa interferenza dello Stato con le forze di mercato cosa che rende labili i confini tra il settore pubblico e quello privato. Tale influenza è evidente in iniziative guidate dallo Stato come la BRI, il Silk Road Fund e Made in China 2025, i quali puntano a posizionare la Cina come leader in vari settori ad alta tecnologia e a creare “campioni nazionali” attraverso finanziamenti statali, prestiti con interessi, incentivi fiscali e altri sussidi. I critici sostengono che tali politiche distorcono i mercati e portano alla sovrapproduzione e al dumping. Gli investimenti in infrastrutture critiche e settori tecnologici sensibili sono fonte di preoccupazioni per la sicurezza economica e nazionale dell’UE e dei suoi Stati membri.
Sul piano economico, alcune transazioni hanno sollevato preoccupazioni sulla futura competitività delle imprese dell’UE a causa del deflusso di tecnologie avanzate in settori strategici. Inoltre, le preoccupazioni per la sicurezza nazionale ruotano attorno ai potenziali rischi associati al controllo straniero di risorse strategiche, alla produzione di componenti chiave della difesa e al rischio di spionaggio o di azioni di disturbo. Norme incoerenti nell’UE e diversi approcci nazionali agli investimenti cinesi hanno posto sfide significative e lacune di supervisione. A differenza delle questioni commerciali, che sono di competenza esclusiva della Commissione Europea ai sensi del Trattato UE, le questioni di sicurezza nazionale legate agli investimenti rimangono di competenza esclusiva dei singoli Stati membri. L’UE ha adottato un quadro per il controllo degli IDE entrato in vigore solo nel 2020 (“Regolamento IDE”). In effetti, è stato introdotto in gran parte a seguito delle pressioni di Germania, Francia e Italia, preoccupate per le sfide strutturali poste dall’emergere della Repubblica Popolare Cinese come fonte crescente di investimenti diretti esteri in Europa.
Negli anni la quota di imprese dell’UE sotto il controllo cinese è cresciuta rapidamente, dall’1,4% nel 2007 all’8% nel 2015-26, sollevando preoccupazioni circa una “mancanza di reciprocità e circa una possibile svendita delle competenze europee”. L’Unione Europea si trova ad affrontare una sfida multiforme nelle sue relazioni con la Repubblica Popolare Cinese, soprattutto nel campo degli investimenti, caratterizzato da una complessa interazione di opportunità e rischi.
Bruxelles ha quindi lavorato per sviluppare strategie per cooperare con Pechino salvaguardando il know-how tecnologico, gli interessi economici e la sicurezza nazionale. La priorità data a un migliore accesso al mercato per le imprese europee e il perseguimento di condizioni di gioco più eque sottolineano l’importanza della reciprocità nelle interazioni economiche. Oltre agli sforzi dell’UE volti a sviluppare una strategia di investimento coerente e al suo impegno a ridurre i rischi verso una struttura economica più resiliente e autonoma, in particolare nei confronti della Repubblica Popolare Cinese, la promozione di un dialogo costruttivo con Pechino rimane essenziale. Resta essenziale sviluppare una strategia olistica volta a guidare il futuro impegno dell’UE e dell’Italia con la Cina a livello multilaterale e in tale quadro va vista l’uscita dell’Italia dalla BRI.
di Carlo Marino
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