I dati della Confcommercio sono impietosi: nel corso dell’ultimo decennio (2012 – 2022) circa centomila esercizi commerciali nel nostro paese hanno chiuso, assieme a più di quindicimila attività di ambulanti.
A questo dato, di per sé stesso molto preoccupante, fa da contraltare l’aumento della presenza straniera: rispettivamente +44mila le imprese e +107mila i numeri della crescita. Su 120 città medio-grandi prese in esame, ad essere particolarmente colpiti (in negativo) sono soprattutto i centri storici rispetto alle periferie, mentre tra i settori merceologici calano i negozi che vendono beni tradizionali (come libri, giocattoli, arredamento e articoli per la casa), con un calo di circa il 30 per cento, ma non va meglio per l’abbigliamento dove il calo è stato del 21,8. In controtendenza i servizi, come la tecnologia e la telefonia, dove si registra un aumento superiore al dieci per cento, a riprova della modifica nei comportamenti e preferenze dei consumatori. Va molto meglio per gli esercizi collocati in zone turistiche: alberghi, bar e ristoranti salgono vertiginosamente del 10.275 per cento! Le cause del fenomeno sono complesse e articolate. A parte l’evoluzione dei gusti e dei consumi, vanno menzionati la crescita della grande distribuzione e del commercio online, che inevitabilmente penalizzano le piccole attività tradizionali, con una conseguente “desertificazione” dei servizi che colpisce soprattutto, come accennavamo, i centri storici, dove si registra un calo di un quinto della presenza complessiva. Tutto questo, come ammette la stessa Confcommercio, si traduce in meno servizi, vivibilità e sicurezza, creando un quadro che dovrebbe essere affrontato con l’intervento pubblico e delle parti sociali – magari col ricorso ai fondi UE e a quelli del PNRR -, ma pure aggredendo fattori come pressione tributaria e costi energetici che ancora una volta penalizzano soprattutto i piccoli commercianti.
di Paolo Arigotti