Nel 2021 la ritirata degli Stati Uniti e della coalizione internazionale faceva precipitare l’Afghanistan nel caos e in combattimenti tra l’esercito afghano e i talebani; lo scorso 24 febbraio abbiamo assistito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia con il pretesto di un’incursione di sabotatori ucraini in territorio russo.
Ad oggi però i conflitti o le situazioni potenziali per innescare nuovi confitti sono molteplici ma spesso non vengono presi in considerazione dai mass media, vediamone alcuni.
Etiopia: a seguito di tensioni politiche tra il partito al governo (Partito della Prosperità) e il partito minoritario TPLF (Fronte di Liberazione Popolare del Tigray di ispirazione socialista) che aveva rifiutato di confluire assieme ad altri partiti nel Partito della Prosperità, si sta combattendo nel nord dell’Etiopia dal 2020 (regione del Tigray) una serie di combattimenti che vedono coinvolte anche le popolazioni civili, una guerra interna che non vede al momento soluzioni in quanto le forze militari in campo non riescono ad annullarsi e pertanto si assiste coma a luglio 2021 a continui combattimenti. Lo stesso governo etiope si trova a combattere anche l’Esercito di Liberazione Oromo (OLA) nella regione di Oromia, organizzazione militare accusata dal governo di uccidere la popolazione civile che non condivide le idee dell’OLA. Entrambi fronti sono tutt’ora attivi.
Yemen: se la minaccia dello Stato Islamico, presente in Yemen nelle regioni meridionali, sembra contenuta grazie agli sforzi del Governo yemenita e anche agli stessi ribelli del nord (Houthi); la guerra continua tra la coalizione filo governativa (composta da Arabia Saudita – Emirati Arabi e Governo Yemenita) e i ribelli Houthi che occupano la totalità del nord dello Yemen e che sono supportati dall’Iran. La guerra sembra al momento non vedere alcuna soluzione in quanto oltre ad essere un conflitto locale porta con se le tensioni tra le maggior potenze del medio oriente e pertanto senza una pacificazione tra questi attori esterni sarà difficile addivenire ad una soluzione pacifica. Da notare inoltre il silenzioso interesse del Governo Cinese che oltre a fornire armi al Governo Yemenita sta occupando anche con installazioni militari e civili l’isola di Socotra. Se aggiungiamo anche gli interessi cinesi nelle città portuali di Aden e di Gibuti (Djibouti) vediamo come il Governo Cinese stia assumendo una notevole rilevanza nell’area.
Africa: se il fenomeno dello Stato Islamico si è notevolmente ridotto in Medio Oriente, in Africa ha ottenuto diversi successi interessando più di un Paese del Continente Africano. Diverse formazioni che si ricollegano allo Stato Islamico ed al concetto di Jihad interessano il Mali, la Nigeria, il Burkina Faso, il Congo, il Sudan, la Somalia, il Mozambico ed altri Stati, attualmente non sembra possibile risolvere il problema anche per la mancanza di un intervento militare incisivo.
Afghanistan: se nel 2021 abbiamo visto chiudersi il capitolo relativo alla tutela dell’Afghanistan da parte della Coalizione Internazionale guidata dagli Stati Uniti d’America e la presa di potere dei Talebani, nella realtà dei fatti non abbiamo assistito ad una pacificazione dell’Afghanistan. I Talebani infatti si trovano da un lato a dover combattere una guerra interna contro il ramo afgano dello Stato Islamico e dall’altro a dover combattere la crisi economica dovuta alle sanzioni delle Nazioni Unite e dal congelamento dei fondi degli assets finanziari che il precedente governo deteneva all’estero. Ricordiamo per dovere di cronaca che attualmente il governo Afghano non vede alcun componente femminile sedere in alcuna istituzione e anche l’istruzione verso la componente femminile è fortemente compromessa (solo alcune scuole internazionali aperte nel paese possono accettare studentesse).
Myanmar: a seguito del colpo di stato di febbraio 2021, l’esercito ha represso le proteste per lo più pacifiche ma nello stesso tempo ha ottenuto di alimentare una resistenza su larga scala che coinvolge diversi gruppi politici, che non riescono per rivalità a consolidarsi in un fronte unico, ma che sono capaci di organizzare manifestazioni di disobbedienza collettiva e di resistenza armata scontrandosi con le forze militari al potere. Se questo conflitto non ha grande rilevanza all’estero ha però notevoli implicazioni sulla vita della popolazione sia in termini di libertà individuali che di sostentamento.
Taiwan – Stati Uniti – Cina: un altro fronte caldo è sicuramente quello cinese dove Pechino alla ricerca di una sfera di influenza in cui i suoi vicini siano sovrani ma deferenti. Pechino considera vitale ottenere il dominio della prima catena di isole che si estende dalle Isole Curili, oltre Taiwan e il Mar Cinese Meridionale al fine di poter considerarsi una potenza navale mondiale. Dall’altra parte gli Stati Uniti cercano di frenare la sempre maggior influenza cinese nell’area Indo-Pacifica attraverso il sostegno sempre più forte a Taiwan oltre che rafforzare le alleanze e le partnership con i paesi dell’area, appoggiandone anche le rivendicazioni marittime contro il Governo Cinese come nel caso del Giappone e delle sue rivendicazioni nel Mar Cinese Meridionale.
Dal canto suo Pechino, non sconfessando la sua politica ufficiale di “riunificazione pacifica”, ha intensificato nel corso dell’ultimo anno l’attività militare vicino a Taiwan sia con sorvoli dello spazio aereo taiwanese sia con imponenti esercitazioni nei pressi dell’isola. Questo comportamento impensierisce l’Amministrazione Americano soprattutto alla luce di quanto avvenuto nelle ultime settimane in Ucraina. di Massimiliano Merzi