Divenuto obbligatorio a partire da febbraio 2020 con le Direttive per il contenimento dell’emergenza sanitaria, lo smart working è stato una novità assoluta per oltre 1/3 delle amministrazioni pubbliche italiane, che ha rappresentato una vera e propria rivoluzione, a cui hanno risposto oltre 4 mila dipendenti pubblici.
Oggi, infatti, questi dipendenti della PA stanno lavorando in modalità “smart” e per una buona parte si tratta di un’esperienza completamente nuova, per cui hanno dovuto utilizzare in maggioranza PC, cellulari e connessioni internet personali, spesso condividendo lo spazio lavorativo con altri membri della famiglia, e senza ricevere una formazione specifica sul lavoro remoto. Eppure, il bilancio dello smart working “forzato” nella PA è assolutamente positivo.
Lo smart working ha permesso al personale della PA di “organizzare e programmare meglio il proprio lavoro”, di “avere più tempo per sé e per la propria famiglia”, di “lavorare in un clima di maggior fiducia e responsabilizzazione”. E, come ha sottolineato la Ministra della PA Fabiana Dadone, una volta tornati alla normalità almeno il 40% dei dipendenti pubblici dovrà adottare una modalità di lavoro agile.
L’emergenza Covid 19 ha portato un’adozione massiva e rapida del lavoro agile nella PA, che può essere il punto di partenza per ridisegnare il futuro del lavoro pubblico. Naturalmente le amministrazioni, che già stavano sperimentando il lavoro agile hanno saputo reagire meglio all’emergenza, vedi Inps, riuscendo a mettere in poco tempo in smart working tutti i dipendenti e superando le difficoltà tecnologiche ed organizzative, causate inevitabilmente da questa introduzione forzata. Questa esperienza, tuttavia, sta dimostrando che anche nella PA è possibile lavorare in modo flessibile, per obiettivi invece che guardando solo agli orari ed al cartellino.
Perché lo smart working diventi effettivamente una nuova modalità di organizzazione del lavoro nella PA, è necessario ripensare i processi di lavoro, definire puntualmente obiettivi e risultati individuali e fare formazione specifica sull’uso delle tecnologie e degli strumenti di comunicazione, come consigliano gli stessi dipendenti.
Pur se avvenuta in modo spesso improvvisato, l’applicazione dello smart working per la PA nella prima fase dell’emergenza ha dimostrato un’efficacia da molti inaspettata, infrangendo stereotipi e pregiudizi e dimostrando che un diverso modo di lavorare nella PA non solo è possibile, ma può portare grandi benefici per le Amministrazioni, i lavoratori e la società nel suo insieme. Quindi, una PA più veloce, che risponde in maniera efficace alle richieste dei cittadini e che eroga servizi in modo smart, può migliorare le condizioni dell’intero Paese.
Importante è stato anche l’intervento legislativo, che ha stabilito, ad esempio, che lo smart working fosse la modalità di lavoro ordinaria e infatti l’Amministrazione si è adattata anche a questo.
Comunque, la capacità di adattamento della PA è fondamentale: sebbene sia sempre preferibile investire prima del momento d’emergenza, sappiamo benissimo che è nei momenti di crisi che l’amministrazione sa rispondere in maniera efficace alle difficoltà. All’interno delle singole PA, quando mancano delle persone e le cose vanno portate avanti, è insita nel dipendente pubblico la capacità di adattarsi e recuperare questa mancanza, anche in un momento di tranquillità e non di emergenza. Molte volte nella PA manca la capacità di capire il potenziale delle persone che vi lavorano, ma con l’emergenza che adesso continuiamo a vivere, questo potenziale è uscito fuori.
di Sossio Moccia