Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli nacque a Roma il 2 marzo 1876 e morì a Castel Gandolfo (RM) il 9 ottobre 1958. Fu il 260º papa della Chiesa cattolica; nel 1990 è stato proclamato servo di Dio, nel 2009 ha ricevuto il titolo di venerabile per le virtù eroiche nella Chiesa, nell’ambito della causa di canonizzazione tuttora in corso, pur tra mille polemiche. Eugenio, terzogenito dell’avvocato della Sacra Rota Filippo Pacelli e di Virginia Graziosi, apparteneva ad una nobile famiglia da sempre vicina alla Curia, quella dei Principi di Acquapendente e di Sant’Angelo in Vado. La nobilitazione della sua famiglia derivava dai fatti legati alla proclamazione della seconda Repubblica Romana (1848-1849), quando Marcantonio Pacelli, nonno di Eugenio, seguì Pio IX nella sua fuga verso Gaeta, sostenendolo contro i liberali una volta decaduto il governo repubblicano. Per premiarne la fedeltà, il Pontefice lo insignì dei titoli di principe e marchese, trasmissibili agli eredi, tra i quali Filippo, padre del futuro papa. Il piccolo Eugenio dimostrò fin dall’infanzia la sua vocazione sacerdotale e sembra che il suo gioco preferito fosse fingere di dire messa. Dopo gli studi elementari e liceali, entrò nel Collegio Capranica dove studiò teologia. Nella domenica di Pasqua del 1899 fu ordinato sacerdote, per poi conseguire la laurea in Teologia e Giurisprudenza. Pure il fratello Francesco fece studi giuridici, seguendo le orme del padre come avvocato presso la giustizia canonica: avrebbe avuto il ruolo di coprotagonista nei negoziati che portarono alla firma dei Patti Lateranensi del 1929. Il cardinale Vincenzo Vannutelli, futuro decano del Sacro Collegio, lo prese sotto la sua protezione, facendolo entrare nella segreteria di Stato vaticana. Qui Pacelli poté fare pratica del governo della Chiesa e intessere importanti rapporti personali – studia già da Papa, dissero i maligni – conoscendo anche il cardinale Giacomo della Chiesa, futuro papa Benedetto XV. Pio X lo elevò al rango di monsignore-ciambellano nel 1904, Pacelli sostenne convintamente il suo orientamento antimodernista. La sua carriera proseguì come consultore presso il Sant’Uffizio (la ex Santa Inquisizione) e nel 1911 rappresentò la Santa sede in occasione dell’incoronazione di Giorgio V sovrano del Regno Unito. Nel 1914 divenne segretario del cardinale Pietro Gasparri, all’epoca sottosegretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici straordinari e futuro segretario di Stato. In questa veste collaborò alla stesura di vari accordi diplomatici, tra i quali il concordato tra il Regno di Serbia e la Santa Sede (1914), firmato pochissimi giorni prima dell’inizio della Grande guerra. Quando Gasparri divenne segretario di stato, la seconda carica per importanza nella gerarchia della Santa sede dopo quella del Pontefice, Pacelli rimase il suo segretario personale, fino al 13 maggio 1917 (il giorno della prima apparizione della Madonna a Fatima) quando fu consacrato vescovo e nominato nunzio apostolico (ambasciatore del Papa) in Baviera. Pacelli amava la Germania – era stato educato da un’istitutrice tedesca – e nei dodici anni di permanenza in territorio tedesco (sarebbe divenuto nunzio per l’intera Germania nel 1920) fu testimone dei grandi rivolgimenti politici e sociali che sconvolsero il paese, dalla sconfitta militare del 1918, alla fallita rivoluzione comunista del 1919, fino al putsch di Monaco e alla crescita del movimento nazista, che proprio a Monaco mosse i primi passi. In occasione della rivolta comunista, Pacelli fu accerchiato e minacciato da un gruppo rivoluzionario, ma si salvò pare grazie all’intervento della suora tedesca Pascalina Lehnert, governante della casa del nunzio, che gli rimarrà vicina per il resto della vita. Circoleranno molte voci, pure infamanti, sulla natura dei loro rapporti, ma in realtà la religiosa non ebbe nessun rapporto intimo con Pacelli, né esercitò mai alcun peso nelle sue decisioni, prima e dopo l’ascesa al soglio pontificio; gli si rese necessaria nella quotidianità dell’esistenza, prendendosi cura della sua persona e lenendone la solitudine. La curia romana le avrebbe attribuito il soprannome di “caporale tedesco” per la rigida attenzione prestata allo stato di salute e al benessere personale del Pontefice, del quale si prese cura sempre in prima persona. Nel 1930, dopo aver firmato nuovi ed importanti accordi con Baviera e Prussia, Pacelli fu richiamato a Roma da Pio XI, che lo creò cardinale (dicembre 1929), nominandolo segretario di stato al posto del dimissionario Gasparri, che aveva chiuso la sua lunga carriera firmando i Patti Lateranensi con Mussolini. A Roma, dopo un breve intervallo, lo raggiunse la fedele suor Pascalina, la prima religiosa cui fu consentito di abitare all’interno delle mura vaticane. Nella sua nuova veste istituzionale, Pacelli firmò nuovi ed importanti accordi con l’Austria (1933), con la Iugoslavia (1935) e soprattutto con il Reich di Hitler (30 luglio 1933), regalando al neocancelliere un indubbio prestigio internazionale ed accettando – fatto più tardi rinfacciato allo stesso Pacelli – la soppressione del partito cattolico del centro, dichiarato fuori legge, al pari di tutte le forze politiche diverse dalla NSDAP. Il suo amore per la Germania non venne mai meno, per quanto la crescente intolleranza del nazismo verso la Chiesa – con ripetute violazioni del concordato – creò non poche frizioni, che portarono nel 1937 alla pubblicazione dell’enciclica di Pio XI, Mit Brennender Sorge (con viva ansia), che denunciava le persecuzioni del clero tedesco da parte del regime. Pacelli non contrastò mai le decisioni del Pontefice, ligio alla regola curiale secondo la quale la volontà del papa non si discute, ma si esegue (come lui stesso avrebbe preteso per le proprie), per quanto fu probabilmente lui il responsabile della decisione di non pubblicare sull’Osservatore romano alcune dichiarazioni di papa Ratti sul razzismo tedesco: pare che il Pontefice criticasse l’antisemitismo, affermando che noi – riferito ai cattolici – “siamo spiritualmente semiti”. A differenza dei suoi predecessori, Pacelli invece che aspettare che fossero le autorità ecclesiastiche a venire da lui, viaggiò moltissimo, guadagnandosi l’appellativo di “cardinale volante”. Nel 1936 si recò in missione diplomatica negli Stati Uniti (coi quali all’epoca non esistevano relazioni ufficiali) e poi andò in Argentina, Ungheria, Francia. L’aumento delle persecuzioni anticattoliche in Germania – vennero chiuse tutte le associazioni religiose e arrestati diversi prelati – spinsero Papa Ratti a indurire la sua linea contro il regime di Hitler, nonostante Pacelli premesse sempre per una soluzione diplomatica. Ratti morì il 10 febbraio 1939, il giorno prima di dare pubblica lettura di una nuova enciclica, Humani generis unitas, che a quanto pare recava una nuova e ben più dura condanna dei regimi razzisti (nel 1938 le leggi antisemite erano state promulgate pure in Italia). Circoleranno molte voci su questo documento, che nessuno vide mai, ma gli storici che ne ammettono l’esistenza sono concordi nell’ascrivere la decisione di archiviarlo allo stesso Pacelli, sostenitore della via del negoziato, preferita ad una nuova e più forte rottura con Berlino. Pacelli assunse la carica di Camerlengo, in pratica facente funzioni del Papa durante la sede vacante e presiedette il conclave chiamato ad eleggere il nuovo Pontefice. Furono sufficienti tre votazioni per giungere all’elezione di Pacelli. Il clima di tensione internazionale non consentiva lunghe fasi di interregno e la sua carriera curiale e diplomatica lo indicavano come il candidato naturale. Fu la prima elezione papale – avvenuta il giorno del suo compleanno, 2 marzo 1939, all’età di 63 anni – della quale disponiamo di un filmato sonoro, con la proclamazione del tradizionale Annuntio vobis gaudium magnum alla folla riunita in piazza San Pietro: Pacelli scelse in nome di Pio in continuità col suo predecessore. Mussolini non presenziò alla sua incoronazione del 12 marzo, mandando Galeazzo Ciano al suo posto, come segno di protesta verso le tensioni con la Chiesa provocate dal varo delle leggi antisemite. La Germania accolse con una certa freddezza l’elezione di Pacelli, l’ambasciatore del Reich presso la Santa Sede ricevette l’ordine di portare al neoeletto le congratulazioni solo orali di Hitler, con la specifica che i complimenti “non devono essere formulati in maniera particolarmente calda”. Pio XII designò il cardinale Luigi Maglione nuovo segretario di Stato, ma sarebbe stato lui stesso a dirigere la politica estera (suo stretto collaboratore l’allora monsignor Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI): in effetti la situazione in Europa precipitava rapidamente e il 15 marzo 1939 Hitler invase la Cecoslovacchia, violando gli accordi di Monaco del settembre 1938. Tra le prime decisioni, poi oggetto di aspre critiche, quella di togliere dall’Indici dei libri proibiti per i fedeli quelli di Charles Maurras, membro del gruppo politico antisemita e anticomunista di estrema destra di Action française, che aveva molti simpatizzanti e seguaci cattolici, successivamente coinvolto nei crimini commessi dal regime di Vichy. Fu sempre Pacelli, nel 1939, a proclamare san Francesco d’Assisi e santa Caterina da Siena patroni d’Italia. Il suo impegno prioritario fu per la pace: nel suo discorso radiofonico (la radio vaticana era stata inaugurata nel 1931 da Pio XI e da Guglielmo Marconi) del 24 agosto 1939, indirizzato ai governanti del mondo, resta celebre l’esortazione finale (purtroppo inascoltata) “Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra!”. Nonostante siano innumerevoli le critiche rivolte al Papa per non essersi mostrato sufficientemente risoluto coi nazisti – al pari del suo predecessore – non mancheranno nei suoi discorsi, a cominciare dalla prima enciclica (una sorta di programma politico del suo pontificato) Summi Pontificatus, varie notazioni contro il razzismo e le dottrine anticristiane (vi si legge, tra l’altro, “Fra i molteplici errori, che scaturiscono dalla fonte avvelenata dell’agnosticismo religioso e morale, vogliamo attirare la vostra attenzione, venerabili fratelli, sopra due in modo particolare, come quelli che rendono quasi impossibile, o almeno precaria e incerta, la pacifica convivenza dei popoli. Il primo di tali perniciosi errori, oggi largamente diffuso, è la dimenticanza di quella legge di umana solidarietà e carità, che viene dettata e imposta sia dalla comunanza di origine e dall’uguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano…”). Nel 1941 sarà per sua volontà che la preesistente Commissione delle opere pie divenne l’Istituto per le Opere di Religione (IOR), la banca del Vaticano. Pacelli sapeva che l’Europa nel ’39 era sull’orlo della guerra, il suo nunzio a Berlino, Cesare Orsenigo, lo aveva ampiamente informato sulle intenzioni del governo nazista. Caddero nel vuoto sia il discorso radiofonico del 24 agosto che il suo messaggio personale per Hitler, pochi giorni prima dello scoppio del conflitto, mentre Pacelli fu preso di sorpresa – come il resto del mondo – dalla notizia dell’accordo tra Hitler e Stalin (patto Molotov Von Ribbentrop) del 23 agosto 1939. Il papa, da esperto di questioni internazionali e diplomatiche, sapeva benissimo che l’accordo preludeva alla guerra, ma tentò ugualmente di rilanciare la carta di una conferenza internazionale di pace dopo l’invasione della Polonia, altra iniziativa rimasta inascoltata. Il 30 novembre 1939, Pio XII condannò l’invasione sovietica della Finlandia, esprimendo successivamente la sua solidarietà ai sovrani di Belgio, Olanda e Lussemburgo dopo l’occupazione nazista del 1940; in Italia la notizia del messaggio papale fu pubblicata solo dall’Osservatore romano, mentre la stampa fascista ricevette l’ordine di non occuparsene. Nell’inutile tentativo di evitare l’ingresso in guerra dell’Italia, il 28 dicembre 1939 Pio XII fece visita al Re d’Italia: la prima volta di un papa al Quirinale dopo la breccia di Porta Pia. Per tutta la durata del conflitto, papa Pacelli organizzò aiuti alle popolazioni colpite e creò l’ufficio informazioni sui prigionieri e sui dispersi; diede vita alla commissione pontificia di assistenza, che fu diretta nei fatti da suor Pascalina. Uno dei ricordi più celebri di Papa Pacelli è quello del 20 luglio 1943, quando si recò di persona – uscendo per la prima volta dal Vaticano per una visita non ufficiale e non programmata – nel quartiere romano di San Lorenzo per portare conforto e aiuto alla popolazione colpita dai bombardamenti alleati; il 13 agosto avrebbe fatto lo stesso nel quartiere di San Giovanni, dove fu scattata la famosissima foto del papa con le braccia aperte in segno di preghiera. Pare che rientrato in Vaticano egli si avvedesse, rassicurando i suoi collaboratori, che le sue vesti erano sporche del sangue dei feriti. Nonostante gli scritti che lo accusarono, specie a posteriori, di eccessiva condiscendenza verso i nazisti, esistono documenti che comprovano contatti tra la Santa sede e circoli antihitleriani, con l’obiettivo di detronizzare il Fuhrer. Sempre in riferimento ai presunti silenzi di Pacelli, citiamo il suo messaggio natalizio del 1942, diffuso dalla radio vaticana, nel quale parlava di un nuovo ordine mondiale fondato sul rispetto tra le nazioni, condannando ogni forma di discriminazione e aggiungendo un passaggio molto importante: “Questo voto l’umanità lo deve alle centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento”, un evidente riferimento alle persecuzioni in atto. Non va mai dimenticato che Pacelli proveniva dagli ambienti della diplomazia vaticana e la lunga esperienza maturata in questo ambito influenzarono sempre le sue dichiarazioni ufficiali, improntate più alla moderazione e al negoziato, che a frasi ad effetto o ridondanti, facendo sempre molta attenzione alla concretezza e opportunità delle sue parole. Dopo l’armistizio e la “coraggiosa” fuga dalla capitale dei monarchi e dei vertici governativi italiani, Pio XII fu l’unica autorità di rilievo rimasta a Roma. Non protestò mai per l’occupazione nazista, ma si adoperò in tutti i modi per fornire rifugio e aiuto alle popolazioni, chiedendo più volte agli alleati di risparmiare la città (poi dichiarata aperta) da nuove incursioni aeree. Quando i tedeschi imposero alla comunità ebraica della capitale un riscatto pari a 50 chili d’oro per risparmiarla dalla deportazione, la Chiesa ne fornì 20, come testimoniato da Ugo Foà, allora rabbino capo di Roma, per quanto il cinico inganno non risparmiò il crimine del rastrellamento del 16 ottobre 1943. Nonostante l’intervento del cardinale Maglione presso l’ambasciatore tedesco in Vaticano, Ernst von Weizsäcker, gli arresti sommari proseguirono, nel silenzio assordante della Santa Sede. Per quali ragioni Pio XII non intervenne con una condanna ufficiale delle deportazioni e dello sterminio, del quale egli era informato per lo meno dal 1942? Esistono difatti testimonianze scritte che confermano come il Papa ne avesse avuto notizia grazie ai resoconti del sacerdote don Pirro Scavizzi e del monsignor Andrej Szeptycki; inoltre, nelle carte di Monsignor Montini, si fa espressa menzione degli eccidi già nel 1942 e lo stesso Pacelli firmò con gli alleati (URSS compresa) una dichiarazione di condanna dei massacri degli ebrei il 17 dicembre 1942. La ragione ufficiale del silenzio è che un eventuale intervento ufficiale avrebbe solo peggiorato le cose e avrebbe provocato nuove ritorsioni contro il clero e i fedeli cattolici (come già accaduto in Olanda). Resta il fatto che la comunità ebraica romana ricevette aiuto e sostegno dal Vaticano. Diversi ebrei furono inseriti fintamente nei ranghi della guardia palatina (incrementata per l’occasione) per sottrarli alla cattura e molti istituti religiosi e conventi, compresi quelli di clausura, fornirono asilo ai fuggiaschi, col placet del Papa. Resta poi il fatto storico che conclusa la guerra, il 29 novembre 1945, i rappresentanti della comunità ebraica romana andarono in visita da Pacelli per ringraziarlo del suo aiuto. Secondo alcune stime circa il 64 per cento degli ebrei romani sfuggì alla cattura grazie all’aiuto della Chiesa. Dopo la guerra si parlerà addirittura di un piano segreto di Hitler per occupare il Vaticano e rapire il papa, deportandolo in Germania. Informato di questo, Pacelli non volle abbandonare il suo posto e diede ordine ai cardinali di utilizzare una sua lettera di dimissioni – predisposta per tale eventualità – procedendo all’elezione di un nuovo Pontefice: i tedeschi potranno catturare il cardinale Pacelli, disse, ma non il Santo Padre. Una ulteriore critica sollevata contro i silenzi di Pio XII riguardò l’eccidio delle fosse ardeatine del 23 e 24 marzo 1944. Non è certo se il papa ne fosse stato informato preventivamente, ma il 26 marzo l’Osservatore romano pubblicò un appello alla clemenza e al rispetto della vita umana attribuito allo stesso Pacelli, messaggio a sua volta criticato, in quanto, si disse, pareva condannare più le violenze ai danni dei tedeschi uccisi nell’attentato di via Rasella, che quelle contro i partigiani. Nell’imminenza della liberazione di Roma da parte degli alleati, il 2 giugno 1944, si rivolse a tutti i belligeranti ammonendo che «Chiunque osi levare la mano contro Roma, si macchierà di matricidio”. Il 4 giugno i tedeschi lasciarono la capitale, sostanzialmente senza colpo ferire. Sembra che grazie all’intercessione di Pio XII, le SS rilasciarono dal carcere di via Tasso il comandante partigiano Giuliano Vassalli, futuro presidente della Corte costituzionale. Il 5 giugno gli alleati andarono in Vaticano in udienza dal papa, che la domenica seguente fu celebrato da una nutrita folla riunita in San Pietro come Defensor civitatis. Dopo la morte di Luigi Maglione (1944), Pacelli non nominò più nessun segretario di Stato, avvalendosi dell’aiuto dei due pro-segretari Giovanni Battista Montini e Domenico Tardini; era famosa la sua frase che lui non volesse collaboratori, ma esecutori! Finita la guerra, si schierò a favore del fronte cattolico filoccidentale, incarnato in Italia dalla Democrazia Cristiana, condannando senza appello i cattolici comunisti. Non prese posizione ufficiale sul referendum istituzionale tra monarchia e repubblica, per quanto molti leader democristiani (come Don Luigi Sturzo o Alcide De Gasperi fossero per la repubblica). Appoggiò apertamente la DC contro il fronte popolare nelle elezioni politiche del 1948, emanando nel 1949 la scomunica contro tutti i sostenitori del movimento comunista. Fu il primo Papa delle grandi udienze pubbliche e sempre il primo a parlare frequentemente alla radio e davanti alle telecamere, intuendo le potenzialità dei nuovi media per raggiungere i fedeli. Nel 1942 era stato il primo papa ad autorizzare un film documentario sulla sua persona, intitolato Pastor angelicus. Il fatto di parlare molte lingue lo agevolò nei rapporti coi popoli di molte e diverse nazionalità. Fu sempre lui ad inaugurare la tradizione della recita dell’Angelus domenicale in piazza San Pietro tutte le domeniche. Il Giubileo del 1950, decisione criticata per le devastazioni dalla guerra ancora ben visibili, fu un grandissimo successo, facendo affluire in Italia circa un milione e mezzo di pellegrini, il primo boom turistico del dopoguerra. Fu sempre lui a creare il primo cardinale cinese e a proclamare santa Maria Goretti., nonché il dogma dell’assunzione di Maria Vergine al cielo. Con la storica enciclica Humani Generis aprì per la prima volta alle teorie evoluzioniste della specie, pur mantenendo una posizione prudente sulla ricerca scientifica. Sostenne sempre la famiglia fondata sul matrimonio, ma fu anche il primo pontefice a riconoscere l’importanza dei rapporti sessuali tra i coniugi non solo finalizzati alla procreazione. Fu lui ad autorizzare le prime messe in orario serale, per venire incontro alle esigenze dei fedeli e dei lavoratori. Le elezioni municipali di Roma del 1952 diedero vita al primo scontro tra Pacelli e il leader DC e capo del governo De Gasperi: questo ultimo si oppose all’alleanza con le destre per contrastare i socialcomunisti nella corsa al campidoglio, benedetta dal Papa. Per ritorsione quest’ultimo rifiutò a De Gasperi l’udienza chiesta in occasione del suo trentesimo anniversario di matrimonio. Nel 1954 Montini fu nominato arcivescovo di Milano e allontanato dalla segreteria di stato, pare per contrasti col Pontefice, che gli aveva negato la porpora cardinalizia. Pacelli mantenne buoni rapporti con la Spagna franchista, firmando un concordato con Francisco Franco nel 1954. La situazione dei paesi dell’est, saldamente in mano ai comunisti, fu costantemente attenzionata da Pacelli, come in occasione della fallita rivoluzione ungherese del 1956 o delle persecuzioni antireligiose in Polonia. Morì nella residenza di Castel Gandolfo, dove si era ritirato per osservare un periodo di riposo, pare a causa delle conseguenze di un’ischemia. Le fotografie della sua lunga agonia furono vendute al rotocalco Paris Mach dal suo archiatra Riccardo Galeazzi Lisi. Si riprese per qualche giorno, ma l’8 ottobre gli fu fatale una nuova crisi cardiaca e spirò il giorno successivo. Fu assistito fino all’ultimo dalla fedelissima suor Pascalina. Il suo funerale diede luogo a solenni esequie di quello che è considerato l’ultimo principe della Chiesa. Nelle sue ultime parole, vergate nel 1956 in quello che è considerato il suo testamento spirituale, si legge tra l’altro “… Chiedo umilmente perdono a quanti ho potuto offendere, danneggiare con le parole e con le opere. Prego coloro, cui spetta, di non occuparsi né preoccuparsi per erigere qualsiasi monumento alla mia memoria, basta che i miei poveri resti mortali siano deposti semplicemente in luogo sacro, tanto più gradito, quanto più oscuro.” Nel 1963 lo spettacolo teatrale Il Vicario riproporrà la questione dei silenzi di Pio XII sull’olocausto, per quanto alla notizia della morte di Pacelli l’allora ministro degli esteri (e futuro premier) di Israele Golda Meir, al pari dello stesso rabbino capo di Roma Elio Toaff, avranno parole di riconoscenza per l’aiuto dato dal Papa in quelle terribili circostanze. Lo studioso ebraico Pinchas Lapide ha ricordato che una percentuale compresa tra il 70 e il 90% dei circa 950mila ebrei europei sopravvissuti all’olocausto fu possibile grazie all’intervento della Chiesa cattolica, sostenuta da Pio XII, che esortò tutti i prelati a fare la loro parte (tra costoro annoveriamo i futuri papi Giovanni XXIII, Giovanni Paolo I e II). Su posizioni analoghe il suo collega e connazionale Gary Krupp. Probabilmente contribuirà a fare nuova luce su uno dei più lunghi e controversi pontificati della storia moderna e contemporanea l’apertura al pubblico degli archivi vaticani per il periodo 1939-1958, voluta da Papa Francesco nel 2019, interrotta di fatto durante la pandemia. Se ancora oggi la questione della canonizzazione di Pio XII desta ancora tante polemiche è di tutta evidenza che permangono molti punti ancora da chiarire, ma una cosa è certa: se, parlando col senno di poi, molte critiche sono state sollevate sui silenzi di questo Pontefice, i molti e documentati riconoscimenti al suo impegno per la pace e contro i perseguitati restano un fatto storico innegabile. Per chi lo accusa, invece, di essere stato un papa “conservatore” ricordiamo che molti dei suoi scritti rappresenteranno la base per i lavori del Concilio Vaticano II voluto dal suo successore Giovanni XXIII.
di Paolo Arigotti