Un’ ennesima crisi politica segna la travagliata storia dei Governi del nostro paese.
Oramai ci siamo abituati, sembra di vivere nella piena normalità, queste crisi di Governo appassionano un numero di cittadini sempre più ampio, soprattutto per il clima di gossip che le contraddistingue.
Intanto, a fronte di una politica che si allontana giorno dopo giorno dai problemi reali dei cittadini, cresce con progressione aritmetica la condizione di difficoltà in cui si dibattono milioni di famiglie italiane, in maniera più o meno accentuata.
Che i redditi da lavoro dipendente fossero oramai totalmente disallineati rispetto agli incalzanti aumenti del costo della vita, è cosa nota a tutti coloro che vivono di reddito fisso. Che gli incrementi contrattuali, strozzati dai vetusti accordi del ‘93, fossero ampiamente sottodimensionati lo diciamo da anni, ribadendo la necessità di rivedere le regole che sovraintendono alla contrattazione. Inoltre, con l’avvento della moneta unica europea, tutte le contraddizioni sono esplose con maggiore vigore, sino a giungere alla drammatica situazione attuale.
Ci siamo dovuti prendere rimbrotti e siamo stati trattati con arroganza, quando sollevavamo tali questioni, abbiamo assistito ad allucinanti prese di posizioni assunte in difesa del vigente superato meccanismo di regole contrattuali, mentre negli ultimi anni sono state drenate dalle tasche dei lavoratori dipendenti e dei pensionati ingenti risorse economiche con un prelievo continuo, quotidiano, fatto di aumenti delle tariffe e dei prezzi. In aggiunta, vale la pena sottolinearlo, è partita anche la previdenza complementare sulla quale i lavoratori dovrebbero versare quote della loro retribuzione.
Oggi non solo non si riesce a risparmiare, ma non si arriva alla fine del mese. Se ne sono accorti, finalmente, anche importanti istituti di statistica, la banca d’Italia, pezzi della politica, qualche industriale e, udite udite, anche alcune organizzazioni sindacali.
Siamo, quindi, alle ricette per cercare di venire fuori dalla crisi. Gli industriali puntano immediatamente il dito sul divario tra salario lordo e netto, ponendo sotto accusa il prelievo fiscale e contributivo.
I sindacati tendono, ovviamente, a porre l’accento sul prelievo fiscale e numerosi osservatori si schierano su tali posizioni. Siamo costretti ad assistere a scene pietose come quella vista in tv nei giorni scorsi, ove un presunto economista sosteneva, a proposito del rinnovo del contratto dei metalmeccanici, che un primo gesto significativo sarebbe stato quello di togliere le tasse dall’incremento contrattuale, giacché 50€ di aumento, detassati, equivalgono al doppio. Evidentemente c’è molta confusione.
Si propone di detassare gli aumenti derivanti dalla contrattazione integrativa, o di identificare con 100 euro al mese la base per risanare la situazione: la fantasia galoppa!
Forse sfugge che è già quasi impossibile avere normali contratti di lavoro in tempi adeguati; sfugge anche che la difficoltà sta nell’ancorare i contratti all’accordo del ‘93; sfugge che i contratti integrativi (aziendali o territoriali) non sono applicati a tutti i lavoratori; sfugge che 100 euro al mese è una cifra che non ha nessun senso. Ciò che non sfugge è che in tutta questa vicenda resta assolutamente fuori dal gioco la controparte datoriale, che in questi anni ha anche accusato incrementi di profitto.
Sembra che la parola d’ordine sia non disturbare i padroni e far passare anche i lavoratori dipendenti alla cassa dello Stato.
Se è questo il delicato equilibrio su cui reggere il tentativo di restituire un minimo di dignità alle retribuzioni ed alle pensioni degli italiani, non resta che prenderne atto.
Bisogna, però, evitare che ciò che viene dato con una mano venga tolta con l’altra.
Perciò, occorre procedere con rigore ed in modo serio al contenimento dei prezzi e delle tariffe, abbandonando l’effetto scenografico che tanto appassiona i nostri politici alla perenne ricerca di una ribalta. Occorre, inoltre, che le aziende comincino ad entrare nell’ordine d’idee che i profitti vanno, almeno in parte, condivisi con i lavoratori, senza che vengano socializzate solo le perdite.
Bisogna, infine, dare un piccolo suggerimento alla politica, ma anche alle parti sociali, affinché si abituino ad utilizzare altri metodi per identificare le loro vittorie e celebrarle.
Quante volte si assiste a occasionali trionfi di soggetti, che annunciano stanziamenti o sgravi fiscali a cifre enormi per il bilancio dello Stato, con effetti insignificanti sulla vita del singolo pensionato o lavoratore o della singola piccola azienda artigiana o commerciale?
Adottare, come unità di misura del successo di una rivendicazione o trattativa, l’effetto diretto nelle tasche del singolo rappresentante medio della categoria interessata, forse ci può riportare con i piedi per terra, tutelando l’interesse comune nel modo più proficuo.