La necessità di una riforma fiscale con particolare riguardo alla riduzione dell’IRPEF è ormai diventata un tema di stretta attualità. In effetti, la pressione fiscale è alta per il combinato di imposte dirette e indirette ma è anche falsata da oltre 160 deduzioni, detrazioni, bonus, che azzerano le imposte ai più e accentuano la progressività a quelli che le tasse le pagano davvero.
I dati più recenti – quelli relativi alle dichiarazioni 2019 – raccontano una realtà complessa, nella quale il grosso del carico fiscale grava sul 13% di contribuenti con redditi dai 35mila euro in su, mentre quasi 1 italiano su 2 dichiara di non guadagnare nulla: impossibile non tenerne conto per una riforma del sistema fiscale davvero equa ed efficace.
Secondo la percezione degli italiani, il fisco è un sistema che penalizza soprattutto i lavoratori dipendenti, il ceto medio e le PMI, mentre vengono considerati meno colpiti i liberi professionisti e i patrimoni. Si nota che le persone tendono a ritenere tassate in misura eccessiva principalmente le categorie alle quali essi stessi appartengono.
L’Irpef viene valutata come troppo complicata da 7 italiani su 10 e l’esigenza di semplificazione risulta essere al secondo posto tra le priorità della riforma fiscale, dopo la richiesta del taglio del cuneo fiscale.
Gli italiani, inoltre, faticano a considerare equa l’imposta sul reddito: oltre 6 su 10 ritengono che i ricchi paghino troppo poco rispetto a quanto dovrebbero contribuire. L’opzione di aumentare le tasse ai più facoltosi, tuttavia, divide l’opinione pubblica, perché si teme la fuga verso conti esteri con conseguente danno per l’erario.
La proposta dell’introduzione di una tassa di successione trova l’accordo di 1 italiano su 2, ma la quota di favorevoli a questa ipotesi cala nel momento in cui si paventa la destinazione dei proventi a un assegno per sostenere i giovani con redditi medio-bassi.
Il sistema tributario deve sostenere la ripresa e contribuire alla crescita dell’economia e potrà farlo se assicura un prelievo equo, efficiente, stabile e trasparente.
La pressione fiscale complessiva in Italia si attesta al 42,3%; è il sesto valore più alto nel confronto con gli altri paesi dell’UE, e si colloca al di sopra della media europea di 2,2 punti percentuali (Eurostat, 2019). In particolare, la pressione fiscale sul lavoro risulta la più alta in assoluto nella UE, con un’aliquota implicita pari al 43,8% (Eurostat, 2018).
L’Irpef ha un ruolo centrale nel sistema tributario: il gettito è pari all’11,3 per cento del PIL, e contribuisce a quasi il 40 per cento delle entrate tributarie delle Amministrazioni Pubbliche.
Sulla base degli ultimi dati disponibili (anno d’imposta 2018) la platea dei contribuenti Irpef è rappresentata da 41,4 milioni di soggetti, tra i quali, in base alla classificazione per reddito prevalente, 21,3 milioni sono lavoratori dipendenti, 13,5 milioni sono pensionati, 2,9 milioni sono imprenditori, autonomi o soci di società di persone. Circa 1 milione di contribuenti sono soggetti ai regimi agevolati.
I redditi da capitale sono invece per la quasi totalità soggetti a tassazione sostitutiva.
L’Irpef è quindi oggi un’imposta pagata principalmente da lavoratori dipendenti e pensionati.
Sulla base dell’analisi delle dichiarazioni dei redditi, l’Irpef complessiva dichiarata, pari a 164 miliardi di euro, è infatti per l’85% attribuibile a queste due categorie di reddito (e in particolare per il 55% ai lavoratori dipendenti e per il 30% ai pensionati).
Nel tempo l’Irpef è stato oggetto di revisioni che ne hanno minato la coerenza e la capacità di conseguire i suoi obiettivi redistributivi, minimizzando gli effetti disincentivanti per le famiglie e per le imprese.
Una sua revisione profonda dovrebbe perseguire il duplice obiettivo di semplificare la struttura del prelievo e di ridurre gradualmente il carico fiscale preservando la progressività.
L’attuale sistema di prelievo dell’Irpef è basato su un meccanismo di progressività per scaglioni e su un sistema di specifiche detrazioni, in funzione del reddito e dei carichi familiari, ridisegnato da ultimo nella riforma del 2007.
Nel 2007 la riforma mantenne ed estese l’ampio margine di esenzione previsto per i redditi da lavoro, abolendo al contempo la “no tax area”, generalizzata per tutti gli altri redditi. Fu mantenuta, quindi, l’aliquota del primo scaglione al livello relativamente “elevato” in cui si trovava (23%), mentre si sostituirono le esistenti deduzioni con un analogo sistema di detrazioni decrescenti col reddito, tali da assicurare i livelli di esenzione previsti.
L’interazione di aliquote e detrazioni decrescenti genera aliquote marginali più elevate di quelle legali applicate agli scaglioni di reddito.
Le aliquote e gli scaglioni non sono stati modificati dal 2007; il legislatore, tuttavia, ha previsto in varie occasioni solo modesti aggiustamenti di alcuni parametri rilevanti per determinare le detrazioni e ha introdotto ulteriori strumenti a sostegno del reddito che si sono sovrapposti a quelli esistenti.
In particolare, i differenti trattamenti a sostegno del lavoro dipendente, erogati come trattamento integrativo o come ulteriore detrazione, hanno attenuato il carico fiscale sulle categorie di lavoratori dipendenti più vulnerabili, ma hanno anche accentuato le irregolarità del profilo delle aliquote dei lavoratori dipendenti.
Secondo il sentiment comune, il sistema fiscale da riformare deve essere orientato al rilancio del Paese con un progetto di ampia portata, in cui inserire il tema centrale dell’equità e della semplificazione, col possibile obiettivo di ridurre la pressione fiscale e l’evasione.
di Sossio Moccia