L’Assemblea Nazionale del Popolo (Quánguó Rénmín Dàibiǎo Dàhuì), differita a causa di COVID-19, si è svolta a Pechino dal 22 al 28 maggio 2020. L’Assemblea, costituita da circa 3.000 deputati, rappresenta l’unica camera legislativa all’interno del sistema cinese e si occupa di approvare il bilancio nazionale, di presentare l’insieme dei progetti per la pianificazione economica e sociale del Paese, nonché di ratificare o di emendare leggi in materia sia penale che civile. L’organo si riunisce con cadenza annuale, solitamente nella prima metà di marzo. La convocazione dell’assemblea, quest’anno, ha messo in evidenza la premura da parte del governo di fissare i nuovi piani economici e di presentare le strategie per il prossimo anno, per tentare di fronteggiare l’attuale fase di contrazione economica e rispettare il più possibile gli obiettivi fissati.
Tra i punti preminenti che sono stati discussi, va menzionato il programma per conseguire l’obiettivo dell’eliminazione della povertà da tutto il Paese, promessa più volte sostenuta dallo stesso Presidente XI Jinping. La determinazione della Cina a raggiungere l’obiettivo dell’eliminazione totale della povertà rimane incrollabile, nonostante l’impatto del nuovo coronavirus (COVID-19). Lo ha affermato Liu Yongfu, direttore dell’Ufficio del gruppo direttivo del Consiglio di Stato per la riduzione della povertà e lo sviluppo. È importante, a tale proposito, ricordare che la Cina fino a qualche decennio or sono era uno dei Paesi più poveri del mondo. ma grazie al successo del riso ibrido creato da Yuan Longping negli anni ‘70 del Novecento, è riuscita a procurare sostentamento a quasi il 20% della popolazione mondiale con solo il 9% di terre coltivate del mondo.
Altro nodo cruciale esaminato è stata l’attesa rimodulazione degli obiettivi di crescita che, anche alla luce del crollo trimestrale del Prodotto Interno Lordo, recentemente registrato dall’Istituto Nazionale di Statistica, potrebbero veder naufragare il piano per il raddoppio del Pil entro fine 2020.
Sul fronte economico, il tono è stato, infatti, focalizzato sulla crescita, sull’apertura al mondo e sul recupero dello slancio riformatore. Dal punto di vista economico, va sottolineata la rimozione dell’obiettivo del raggiungimento del PIL. Avere un obiettivo nella prima era delle riforme è stato utile per la performance economica della Cina.
Il tasso di disoccupazione era tra il 4 ed il 5% circa in Cina. Ora, COVID-19 ha visto salire al 6% – e probabilmente anche oltre – tale cifra. La mancanza di occupazione post-COVID-19 è una questione riconosciuta come grave in Cina. Nel suo rapporto sul lavoro del governo, il Premier Li Keqiang ha promesso 9 milioni di nuovi posti di lavoro nelle città. È probabile che il governo dovrà rivedere per eccesso tale obiettivo. La principale priorità della Cina è la stessa degli Stati Uniti e dell’Europa: posti di lavoro. Per quanto riguarda il commercio, l’ambiente e la sicurezza, gli Stati Uniti e la Cina parlano lingue sempre più diverse. Sul lavoro, però, sembrano parlare la stessa lingua. Si è discusso di stimoli fiscali sulla falsariga di quanto avvenne nel 2008 dopo la crisi finanziaria globale e, a tale proposito, trasferimenti per un totale di 2 trilioni di RMB (280 miliardi di dollari USA) sono stati promessi ai governi locali per affrontare alcuni dei problemi connessi con la pandemia di COVID-19. Una strategia economica sembra uscire chiaramente dal Congresso: far salire i consumi interni cinesi e le strade per il raggiungimento di tale obiettivo sono in parte costituite dalle trattative per accelerare le riforme delle aziende di Stato e l’apertura di più settori dell’economia agli investimenti dall’estero.
L’approccio economico del Congresso Nazionale del Popolo si è rivelato abbastanza razionale, in quanto ha trasmesso un messaggio di partenariato e cooperazione per tutti coloro che vogliono impegnarsi. Sul fronte politico, tuttavia, il messaggio su Hong Kong ha mostrato un aspetto totalmente diverso. Pechino ha ribadito, in modo netto e inequivocabile, che la dichiarazione che il presidente Xi Jinping aveva pronunciato lo scorso novembre sulla necessità di rendere stabile e leale la città era da considerarsi in realtà un ordine. Per Hong Kong, il “porto profumato”, tuttavia, non sembra possibile da parte governativa un’azione diversa da quella intrapresa. E ciò non dovrebbe essere una sorpresa. L’indizio di tale azione va rinvenuto nella dichiarazione fatta da Xi Jingping a novembre dell’anno scorso durante un vertice dei BRICS nella città di Brasilia. Secondo quanto riportato dall’Agenzia Stampa Xinhua Xi Jingping ha detto: “ We will continue to firmly support the chief executive in leading the Hong Kong Special Administrative Region government to govern in accordance with the law, firmly support the Hong Kong police in strictly enforcing the law, and firmly support the Hong Kong judicial bodies in severely punishing the violent criminals in accordance with the law,” ( “Continueremo a sostenere fermamente il governatore nella guida del governo della Regione amministrativa speciale di Hong Kong in conformità con la legge, a sostenere fermamente la polizia di Hong Kong nel far rispettare rigorosamente la legge e a sostenere fermamente gli organi giudiziari di Hong Kong nel punire severamente i criminali violenti secondo la legge”). Secondo il governo di Pechino, le continue e violente attività, radicalizzatesi nella città di Hong Kong calpestano gravemente lo stato di diritto e l’ordine sociale, disturbano gravemente la prosperità e la stabilità della regione amministrativa speciale e mettono seriamente a repentaglio la linea politica di “un paese, due sistemi “.
Ne è conseguita quest’anno l’approvazione da parte del Congresso Nazionale del Popolo di una nuova legge sulla sicurezza della Città sullo Stretto, che avrà sicuramente una portata molto ampia in quanto il messaggio è severo: “un paese, due sistemi” significa ciò che Pechino vuole che significhi, per una questione indiscutibile di sovranità nazionale. Come il resto della Cina, l’economia di Hong Kong è aperta al mondo, ma la sua situazione politica e di sicurezza è affare interno di Pechino. I paesi della comunità internazionale hanno il diritto sovrano di criticare la Cina, ma la Repubblica Popolare Cinese ha il diritto sovrano di effettuare ritorsioni nei loro confronti.
L’Assemblea nazionale del popolo ha approvato, last but not least, le disposizioni generali del nuovo codice civile che entrerà in vigore nel 2020. Le disposizioni generali novellate modernizzano quelle in vigore dal 1986 ed entreranno in vigore a partire dal prossimo 1 ottobre. Le nuove norme, 206 in totale, definiranno in maniera più circostanziata rispetto alle precedenti, i diritti degli individui e delle organizzazioni, con una maggiore attenzione alla protezione dell’ambiente, ed ai diritti degli embrioni, oggetto di un nuovo articolo. Tra i capitoli più discussi delle nuove disposizioni generali, va evidenziato anche quello che abbassa l’età minima (da dieci a otto anni) per l’imputabilità di un reato sul piano civile. Oltre che per la necessità pratica di presentare i nuovi obiettivi, il governo ha voluto convocare il Congresso anche con l’intento di lanciare un segnale di presenza ai cittadini, per dimostrare l’impegno e lo sforzo della classe dirigente, in prima battuta, nel fornire al Paese gli strumenti necessari per uscire dalla crisi. Difatti, ospitando nel cuore di Pechino circa 3.000 delegati provenienti da tutto il Paese, il governo ha voluto dimostrare che l’emergenza sanitaria sia oramai sotto controllo e che vi siano le premesse per restaurare gradualmente la normalità, così da cercare di contrastare il malcontento che, in più occasioni, si era manifestato tra la popolazione proprio a causa della gestione da parte delle autorità centrali degli effetti della pandemia.
di Carlo Marino