Secondo i racconti di Confucio, fu la principessa cinese Xi Ling Shi a slegare per prima un bozzolo di seta, fatto poi cadere in una tazza di tè. Dalla metà del terzo millennio avanti Cristo, i cinesi scoprirono il ciclo di vita del baco da seta e per millenni mantennero il monopolio della produzione e del commercio del pregiato prodotto. Nel 520 d.C. due monaci, in missione in Asia per conto dell’imperatore Giustiniano, tornarono a Bisanzio con le uova dei bachi nascoste dentro dei bastoni di bambù, consentendo così l’inizio di una produzione autoctona. Con i viaggi di Marco Polo in Cina, si intensificarono e stabilizzarono gli scambi commerciali tra Oriente ed Occidente e ciò condusse ad un uso sempre crescente della seta in Italia ed in tutta Europa.
La seta ebbe un’importanza fondamentale per l’economia dei Comuni italiani nel Medioevo. Dal XII secolo l’Italia divenne il maggior produttore di seta in Europa e molte città comunali fondarono la loro ricchezza sulla produzione e commercio della preziosa fibra.
Como e San Leucio concentrarono la produzione e l’eccellenza nei tessuti serici. In Lombardia la seta si produceva sin dal XIV secolo e già Ludovico il Moro ne aveva intuito i vantaggi. Lo Sforza Duca di Milano impose con decreto che i proprietari terrieri piantassero cinque gelsi ogni cento pertiche di terreno. Con l’introduzione delle piantagioni di gelsi bianchi originari dell’Asia, il territorio si trasformò velocemente dando il via ad una intensa produzione. Con la rivoluzione industriale e la creazione di filande, la seta si trasformò in un settore economico organizzato fiorente. Nella prima metà dell’Ottocento “la via della seta Lariana (il lago di Como è anche chiamato Lario) contava oltre 150 filande, 250 impianti di fornitura e 45.000 impiegati nel settore.
Durante il periodo del ducato bizantino, nacque nel territorio campano la prestigiosa tradizione della seta, che toccherà il massimo splendore con le fabbriche borboniche di San Leucio di Caserta, circa un millennio dopo. La manifattura è sopravvissuta al Regno delle Due Sicilie e alla dominazione sabauda e oggi le stoffe dell’Antico opificio di San Leucio tappezzano la Camera dei Deputati, il Senato italiano e la Casa Bianca.
In Europa a metà del ‘400, Lione divenne un importante deposito per sete straniere, soprattutto italiane e con l’instaurazione un secolo dopo del monopolio delle importazioni e del commercio della seta, la città divenne sede di una importantissima industria del tessuto. Nel XVIII secolo, Lione assurse al ruolo di capitale europea per la produzione della seta.
Questa premessa storica ci introduce in una tradizione che il Programma Horizon Europe intende rilanciare, per creare un’identità europea legata alla filiera della seta.
Il Progetto Aracne, “ Sostenere il ruolo della seta nell’arte e della sua eredità a livello nazionale e su scala europea”, ha preso il via con il coordinamento del CREA ( Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) ed il coinvolgimento di partner istituzionali e privati in tutta Europa, per rilanciare la filiera della seta italiana e la costituzione di una via della seta europea. Aracne è uno dei tre progetti coordinati dall’Italia, vincitori della linea di intervento “Culture, Creativity and Inclusive Society” del Programma Horizon Europe. Attraverso la creazione di una rete multifattoriale, tra mondo produttivo, università e ricerca, istituzioni, scuola e società civile, si intende valorizzare sul territorio, con iniziative multi ed interdisciplinari, un passato plurisecolare di grande tradizione e un presente all’insegna dell’innovazione, della sostenibilità, della moda e del turismo.
Come ha dichiarato Luce De Carlo, presidente della IX Commissione del Senato, Aracne è una sfida, un progetto ambizioso che l’Italia coordina a livello europeo, finalizzato ad una via della seta 4.0, che sia molto di più di un semplice itinerario storico- culturale, ma assurga ad occasione di rilancio e sviluppo integrato ed innovativo, per tanti territori e settori della società.
Nel gelseto sperimentale del Crea di Padova, che si estende su circa due ettari, vengono coltivati gelsi, le cui foglie dall’alto contenuto proteico alimentano i bachi, oggetto di ricerca. Il gelseto consente di conservare la biodiversità della specie, in quanto vengono coltivate ben 60 varietà, soprattutto di gelso bianco. Il Centro di Padova prepara le uova disinfettate e controllate per gli allevatori di bachi di tutta Europa, fornendo un servizio di grande qualità e rigore scientifico.
di Rosaria Russo