Sin dal 2003, il Rapporto sulle Economie del Mediterraneo, realizzato dall’Istituto per gli Studi Mediterranei del Consiglio Nazionale delle Ricerche, fornisce un quadro critico dei principali aspetti che interessano l’area mediterranea, estremamente diversificata in termini di culture, economie e strutture sociali, ma anche ricca di grandi opportunità. Il nuovo studio ha per titolo: “Economie Mediterranee 2023: le conseguenze socio-economiche della guerra russo-ucraina sulla regione mediterranea”. Il Rapporto, in collaborazione con università e centri di ricerca, propone linee interpretative, presenta i fatti e le cifre, dando una lettura capace di cogliere le tendenze in atto.
Dopo aver analizzato gli effetti della pandemia da covid-19 nella scorsa edizione, il Mediterranean economies 2023 si sofferma su altre due sfide che le economie mondiali hanno dovuto affrontare tra il 2022 e il 2023: un significativo aumento dell’inflazione e il conflitto Russia-Ucraina, che ha incrementato le tensioni geopolitiche. Questi shock hanno avuti effetti negativi significativi sulle prospettive di crescita economica globale, seppure, l’impatto è stato disomogeneo, con notevoli variazioni, soprattutto tra i Paesi mediterranei. Dopo la crisi pandemica del 2020, la ripresa è stata danneggiata dalla guerra che ha ridotto il rimbalzo nel 2022 dei paesi del sud del Mediterraneo, cresciuti in media del 3,7% rispetto ai paesi Euro Mediterranei, cresciuti invece del 4,6%. In particolare, la guerra ha acceso l’inflazione attraverso il prezzo degli energetici. Tra il 2021 e il 2022 l’inflazione nei Paesi Euro Mediterranei è balzata di più di 7 punti percentuali in media, dall’1,68% al 7,9%. Come confermano le recenti crisi nella Striscia di Gaza e nel Mar Rosso, le reazioni del mercato, dettate da paura e incertezza nel panorama politico internazionale, incidono profondamente sulle economie mondiali. Salvatore Capasso, curatore del volume e direttore Cnr-Dsu, evidenzia che la guerra russo-ucraina rischia di produrre effetti sulla crescita di lungo periodo nell’area Med. Gli alti tassi dovuti alle politiche monetarie restrittive e l’incertezza hanno ulteriormente ridotto gli investimenti, passando da una media del 23,7% dei primi anni duemila al 21,4% atteso nel 2027. Ancora più forte è la caduta degli investimenti nei paesi del sud del Mediterraneo, che nello stesso lasso di tempo passano dal 27,3 al 22,1% del Pil. Le tensioni economiche tra la Russia e le economie occidentali hanno creato una pressione senza precedenti sui prezzi degli asset e delle risorse strategiche, portando a effetti di lunga durata. Le aziende internazionali occidentali sono state costrette a delocalizzare le proprie attività, non solo lontano dalla Russia ma anche da mercati importanti come la Cina. La guerra ha avuto inoltre l’effetto di consolidare la posizione strategica del Mediterraneo nei mercati energetici, confermando la regione MENA (Middle East and Nord Africa) come fornitore cruciale per soddisfare il fabbisogno energetico delle nazioni vicine, grazie alla sua posizione geografica favorevole per le risorse e gli scambi commerciali.
Europa e Asia dipendono fortemente da petrolio e gas naturale, malgrado l’aumento dei consumi di energie rinnovabili, generato dalla transizione verde. Tra la sponda settentrionale e meridionale del Mar Mediterraneo vi è un divario logistico, con carenze nel coordinamento necessario per far fronte alla necessità di integrarsi nelle catene di approvvigionamento globali e adeguare i sistemi di trasporto alle mutazioni nella logistica. Nel sud del Mediterraneo, il settore logistico è sottosviluppato con limitata capacità e innovazione. Per massimizzare i benefici di un’area di libero scambio euro-mediterranea è necessaria la rimozione di barriere tariffarie e la liberalizzazione commerciale. La guerra tra Russia e Ucraina ha alterato l’equilibrio geopolitico mondiale, segnando la fine dell’era di globalizzazione instaurata dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989. Come spiega il direttore Cnr-Dsu Salvatore Capasso, dal febbraio 2022, il mondo è più polarizzato e i mercati internazionali sono maggiormente frammentati. La contrapposizione tra le economie occidentali e la Russia cambia la dinamica del commercio internazionale, dando al Mediterraneo la possibilità di acquisire una nuova centralità. Sotto la pressione delle turbolenze geopolitiche, i paesi dell’area euro-mediterranea e l’UE, in generale, possono costruire collegamenti più forti con i paesi sub- sahariani e l’Africa, aprendo nuove opportunità di crescita e sviluppo per tutte le parti coinvolte.
Per quanto riguarda gli aspetti demografici e del mercato del lavoro, i processi di invecchiamento della popolazione europea nella riva europea si accompagnano ad un aumento della popolazione in età lavorativa nel Nord Africa e nel Medo Oriente. Entro il 2100 la popolazione del Nord Africa crescerà di 150 milioni mentre quella dell’Europa si ridurrà di 100 milioni. Questi numeri evidenziano un dato strutturale che alimenterà nuovi flussi migratori, soprattutto a fronte degli elevati tassi di disoccupazione che affliggono i paesi dell’area. Il Pil pro-capite delle economie del Mediterraneo, in percentuale di quello italiano, oscilla tra il 122% della Francia, il 62% del Portogallo e della Grecia, il 38% della Croazia. Le distanze aumentano nel versante sud del Mediterraneo dove il Pil della Tunisia è solo il 13% di quello dell’Italia, l11% in Algeria, il 9% in Marocco e il 5% in Egitto. Questi divari ancora forti convivono con un andamento positivo del Pil in molti paesi della riva Sud. L’assenza di politiche redistributive e di welfare, unite alla crisi occupazionale e del mondo del lavoro, ha aumentato le diseguaglianze interne, determinando l’esclusione di ampi strati della popolazione dalle opportunità di lavoro, di educazione, dalla fruizione dei servizi sanitari e sociali.
di Rosaria Russo