Il CIMEA – Centro di Informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche si occupa dal 1984 dell’attività di informazione e consulenza sulle procedure di riconoscimento dei titoli di studio e sui temi collegati all’istruzione e formazione superiore italiana e internazionale. Obiettivo principale del CIMEA è quello di favorire la mobilità accademica in tutti i suoi ambiti, facilitando la comprensione degli elementi del sistema italiano e dei sistemi esteri di istruzione e formazione superiore e promuovendo i principi della Convenzione di Lisbona sul riconoscimento dei titoli. Il CIMEA dispone di un centro di documentazione internazionale e di banche dati specializzate sui sistemi esteri di istruzione superiore, sulle tipologie di titoli di studio di ogni paese e sulla legislazione nazionale in tema di istruzione superiore.
Nel 2019, poco prima della Pandemia da Covid19, è uscito il rapporto CIMEA dal titolo: “Lauree 30 e frode – Fabbriche di titoli, università non ufficiali e istituzioni dubbie” – a cura di Luca Lantero, Direttore del CIMEA e Chiara Chiara Finocchietti, Vicedirettore del CIMEA, con la prefazione di Lorenzo Fioramonti. Il Rapporto continua ad essere di stimolante interesse nonostante gli anni trascorsi tra un lockdown e l’altro.
La ricerca parte con la descrizione delle caratteristiche principali e della natura delle cosiddette “Fabbriche di titoli”. Si concentra poi sul riconoscimento delle istituzioni e sulle “Fabbriche di accreditamento”. Come se non bastasse veniamo a conoscenza che esistono anche le “Fabbriche di valutazione dei titoli”. E si scopre, scorrendo il rapporto, che l’elemento caratterizzante del fenomeno è l’assenza di certificazione della qualità con la connessa elusione dei controlli.
Interessanti i cenni storici sulle Fabbriche di titoli che partono dal Medioevo per giungere fino ad oggi dove il fenomeno è andato sempre più diffondendosi negli Stati Uniti e nell’Europa dell’est.
Esiste una vera e propria domanda e offerta di titoli fasulli ed il Rapporto ne fa un’analisi economica sia della domanda che dell’offerta proponendo un elenco di Università non ufficiali ed una checklist per l’individuazione di “Fabbriche di titoli” corredata da esempi di università non ufficiali e istituzioni irregolari.
«In ambito economico si parla di tragedia dei beni comuni quando gli interessi della collettività e quelli degli individui che la compongono sono divergenti. La credibilità delle competenze certificate da un titolo di studio è fondamentale per gli istituti che lo rilasciano: se un titolo è associato ad una buona formazione gli enti che li rilasciano saranno in grado di esigere un alto prezzo per i loro servizi. D’altra parte, ogni singolo istituto è soggetto alla tentazione di abbassare i suoi standard di qualità della docenza e di selezione degli studenti perché così facendo riduce i costi ed aumenta la sua attrattività nei confronti del pubblico. Non deve quindi sorprendere come sin dalla fondazione delle prime istituzioni universitarie ci siano stati continui problemi nel garantire la qualità della formazione, come questo saggio ci ricorda nel suo breve ma ricco excursus storico.
La diffusione delle nuove tecnologie ha comportato, come in molti campi, un incremento sia della sofisticatezza delle frodi sia degli strumenti per combatterle. Questo documento ha il pregio di raccogliere in modo sistematico e completo tutte le fonti di informazioni relative alle fabbriche di diplomi più recenti, mostrando chiaramente la natura sistematica del fenomeno che, data come si diceva sopra la sua natura strutturale, è presente in tutti i Paesi del mondo indipendentemente dall’organizzazione istituzionale adottata. La conseguenza è che non esiste una ricetta migliore di altre per evitare le frodi, essendo l’unica soluzione la continua vigilanza ed il pronto intervento demandati in Italia alle strutture ministeriali» – in questi termini si apre la prefazione al rapporto.
Negli ultimi anni ci si è trovati di fronte a un aumento quasi esponenziale di due fenomeni: la contrattazione di titoli e di documentazione accademica in primis, e in secondo luogo l’utilizzo di titoli di studio rilasciati da parte di istituzioni del tutto prive di ufficialità. L’aumento della mobilità internazionale e l’utilizzo delle nuove tecnologie in ambito educativo hanno certamente contribuito all’incremento di entrambi i fenomeni: la “domanda” di esperienze internazionali in riferimento ai percorsi formativi è cresciuta negli ultimi anni, grazie anche alle politiche internazionali e nazionali orientate verso l’internazionalizzazione dei sistemi educativi. La maggior parte di chi utilizza tali qualifiche, o dei “clienti” delle “fabbriche di titoli”, ritiene che il fatto di ottenere una titolazione accademica, come quella di Dottore, o di esercitare una certa professione, come quella di Medico, sia dovuto per il solo fatto che ciò coincide con una propria aspirazione personale, anche se tutti i dati del reale indicano l’opposto e, soprattutto, senza che ciò debba implicare alcuna fatica: fenomeno che potrebbe essere definito come una “dittatura del desiderio”. In questo contesto le “fabbriche di titoli” trovano terreno fertile per soddisfare le aspirazioni personali che sono state deluse da risultati non all’altezza o performance non adeguate, per non parlare dell’utilizzo del titolo di studio come mero riscatto sociale, ritenendo che l’essere “laureato”, o possedere un certo titolo, possa rendere più “autorevoli” le proprie azioni. Dal Rapporto si evince subito che la maggior parte delle istituzioni irregolari che operano sul mercato dichiara di appartenere a sistemi nazionali dove il concetto di “valore legale” del titolo di studio è assente o dove non esiste a livello nazionale un obbligo al riconoscimento o all’accreditamento delle istituzioni di formazione superiore. In conclusione, tra gli aspetti salienti si possono annoverare quelli che riguardano la dimensione sociale ed etica del fenomeno, che pur non costituendo l’oggetto principale della presente pubblicazione, non possono essere trascurati. Il primo è l’aspetto economico: già nel 2005 in una delle più famose pubblicazioni sul tema (scritta a due mani da esperti del tema, tra cui uno ex agente dell’FBI) si stimava che l’industria delle fabbriche di titoli rappresentasse nei soli Stati Uniti un affare da miliardi di dollari. Volume d’affari vertiginoso confermato anche dai casi più recenti. Nel caso Axact, che rappresenta l’esempio più grande a oggi conosciuto di scandalo legato alle fabbriche di titoli, le stime parlano di titoli venduti a circa 215.000 “clienti” in 197 paesi in 10 anni, e di un volume d’affari che solo nell’ultimo anno di attività ammontava a 89 milioni di dollari statunitensi. Va inoltre segnalato come in molti casi tali attività costituiscano esempi di evasione fiscale, per esempio con istituzioni che operano sul mercato di alcuni paesi ma sono localizzate in altri. Si tratta di una doppia sottrazione ai danni della società: fiumi di denaro che vengono drenati da un’educazione di qualità a pratiche opache o chiaramente fraudolente, e che non contribuiscono a sostenere i servizi comuni.
Alcune professioni sono “regolamentate” dagli stati perché toccano dei diritti basilari dell’individuo, come il diritto alla salute o alla sicurezza. Se il titolo accademico necessario per ottenere l’abilitazione in un determinato settore è stato acquisito senza aver seguito un percorso di studio autentico, allora il professionista che esercita la professione non solo non sarebbe titolato a farlo, ma costituisce una minaccia per coloro i quali richiedono le sue prestazioni. Un ingegnere, un architetto o un medico che abbiano ottenuto il proprio titolo in modo fraudolento ed esercitano la professione, mettono quotidianamente a repentaglio la vita delle persone che assistono e per le quali operano. È evidente e tragico nel contempo che la vendita e l’acquisto di un titolo falso contribuiscono a minare il rapporto di fiducia tra gli individui che costituisce la base di una società democratica.
Qui il link per leggere il rapporto
https://www.cimea.it/Upload/Documenti/lauree_30_frode.pdf#p=1
di Carlo Marino