L’aborto mediante RU486, è stato approvato dall’AIFA nell’estate del 2009 con la denominazione di Mifegyne, è un medicinale che blocca l’azione del progesterone, ormone necessario al mantenimento della gravidanza, prodotto che favorisce l’interruzione della gravidanza. Infatti, il farmaco agisce per dilatare l’orefizio esteriore dell’utero o collo, ed è consigliato come metodo d’interruzione medicinale della gravidanza intra-uterina evolutiva. Si raccomandava, fino a qualche tempo fa di assumerlo entro il 63° giorno dall’ultima mestruazione e in associazione con un altro medicinale, la prostaglandina, sostanza che aumenta le contrazioni dell’utero, che viene somministrata 36/48 ore e l’assunzione del Mifegyne si effettuava in ospedale. Questo medicinale è raccomandato, inoltre, per la preparazione del collo dell’utero per l’interruzione della gravidanza nel primo trimestre, mediante aspirazione, nella preparazione all’azione della prostaglandina,qualora l’interruzione della gravidanza, per ragioni mediche vada al di là del I trimestre, per indurre il travaglio nella gravidanza interrotta, morte del feto dentro l’utero, e nel caso in cui la somministrazione di prostaglandina o ocytocina sia impossibile. Quindi, la donna che assume questo medicinale, assiste impotente, anche se cambia idea successivamente, alla morte in diretta di suo figlio in un punto di non ritorno. La kill pill è prodotta da un laboratorio francese, nel cui sito web è scritto nella presentazione dell’azienda: “Exelgyn è un’azienda farmaceutica francese specializzata nell’assistenza sanitaria alle donne. Exelgyn è stata fondata dagli innovatori nel campo dell’interruzione medica della gravidanza. L’azienda è pioniera nello sviluppo e nella commercializzazione del primo modulatore selettivo del recettore del progesterone (SPRM) in ginecologia. Exelgyn è partner nell’area dell’assistenza sanitaria alle donne con prodotti e servizi di alta qualità, progettati per gli operatori sanitari e i loro pazienti. Attualmente, i prodotti Exelgyn sono registrati e commercializzati in più di 30 paesi dove l’aborto è legale e dove è presente un’infrastruttura medica”. Oggi, da notizie Ansa, si apprende che il Ministero della Salute ha emesso le nuove linee guida sull’aborto farmacologico, che annullano l’obbligo di ricovero dall’assunzione della pillola Ru486 fino alla fine del percorso assistenziale e allungano il periodo in cui si può ricorrere al farmaco fino alla nona settimana di gravidanza.Il Presidente della Cei, Cardinale Gualtiero Bassetti ha commentato le linee guida definendole una duplice sconfitta sia per la vita del concepito che per la stessa donna, lasciata ancora di più sola con sé stessa, visto che non è mantenuto nemmeno il ricovero, necessario atto a garantire la sorveglianza sulla sua salute.Con le nuove Linee Guida sull’aborto, si assiste ad un cambiamento totale della Legge 194 del 1978, la cui ratio è basata sull’idea che l’aborto è un problema sociale, un fatto negativo che va evitato e che comunque le istituzioni vogliono tenere sotto controllo, consentendolo solo all’interno del Sistema Sanitario Nazionale e le strutture private sono ammesse solo se convenzionate.Con le indicazioni dettate dalle Linee Guida ministeriali invece si negano le basi della 194 stessa,utilizzando una fonte di forza minore per stravolgere una legge votata a suo tempo dal Parlamento.Si usa il metodo farmacologico per fare in modo che l’aborto esca dall’ospedale, con le conseguenti implicazioni riguardanti il bambino e la donna che si troverà ad affrontare da sola, informa esclusivamente privata la sua condizione, anche nel caso di assistenza medica.Una volta assunta la RU486 l’embrione muore in pancia e dopo due giorni, la donna nella propria casa deve assumere il secondo prodotto chimico che lo espelle con contrazioni fortissime. Mal’esito della combinazione farmacologica è incerto perché non è detto che l’aborto riesca, si potrebbe abortire ma, allo stesso tempo potrebbe essere necessario comunque un intervento
chirurgico per aborto incompleto o non avvenuto. Non si comprende perché la donna non debba entrare in ospedale.Ancora nel 2020, e nei tempi del Covid-19, la maternità non ha valore sociale, diventare madre significa anche oggi rinunciare alla realizzazione personale, quando effettivamente è un atto di amore. La maternità è trattata come un mero fatto privato, in cui la donna non è tutelata ma è spinta all’aborto da una società crudele che non la incoraggia e la lascia rinunciare alla carriera e dal lavoro. Le donne non sono aiutate a diventare madri, hanno difficoltà ad organizzarsi in famiglia e nel lavoro. In questo periodo il Covid-19 ha stravolto i comportamenti della società, scoprendoci ancora più fragili e incapaci di organizzarci responsabilmente. In effetti, potremmo riuscire a sostenere la donna con leggi più umane, riorganizzando i risvolti antropologici, che hanno subito lo stravolgimento che conosciamo.
di Francesca Caracò