Novità per le coppie separate o divorziate
La Cassazione con l’ordinanza n. 5932/2021 ha accolto due motivi su cinque con i quali il marito ha impugnato la decisione della Corte di appello, contestando l’assegno mensile di euro 1.000, in quanto la ex moglie, essendo laureata ha rifiutato vari impieghi individuati dal marito perché, a suo parere, non dignitosi in quanto non in linea con la laurea. La signora riteneva non fossero accettabili, in quanto avrebbero limitato la possibilità di acquisire nuove competenze a detrimento dello sviluppo professionale.
I due motivi accettati dalla Corte suprema sono:
- Il quarto, in cui il marito ha contestato il riconoscimento dell’assegno di mantenimento in favore della moglie perché costei, laureata, ha sempre rifiutato le proposte di lavoro individuate dal marito, aggravando in questo modo la sua situazione economica;
- il quinto in cui il marito si lamenta dell’entità dell’assegno di mantenimento di 1.000 euro mensili per la moglie, prima di tutto perché la stessa ha delle entrate, anche se modeste e poi perché la misura non deve garantire lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Gli altri tre motivi sono stati respinti dalla Cassazione in quanto:
La Corte d’appello aveva giustificato il rifiuto da parte della moglie, laureata, di un lavoro non adeguato al titolo di studio conseguito (Farmacia), così motivando: “il profilo individuale … non va mortificato con possibili occupazioni inadeguate.” Il coniuge ha tutto il diritto di rifiutare offerte di lavoro in quanto “è svilente che una persona laureata” che in precedenza ha “goduto di un livello di vita invidiabile”, in seguito possa essere “condannata al banco della mescita o al badantato.”
La Corte di appello con questa decisione si pone manifestatamente in contrasto con il disposto dell’art 156 c.c. Il giudice, infatti, per decidere se riconoscere o meno l’assegno di mantenimento al coniuge separato deve accertare anche le sue potenziali capacità di guadagno, tenendo conto di ogni fattore individuale e ambientale, compresa la possibilità di “acquisire professionalità diverse e ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione.”
La Corte invece si limita a riconoscere il diritto di non reperire alcuna attività lavorativa reputata inferiore non in linea con la laurea conseguita, senza però affermare di aver valutato gli impieghi effettivamente reperiti o proposti, al fine di poterne effettivamente giudicare la reale inadeguatezza. Il diritto al mantenimento deciso dal giudice dell’impugnazione si basa, quindi, su rilievi astratti perfino “giungendo a negare dignità al lavoro manuale o di assistenza alla persona”, trascurando di considerare l’effettiva possibilità della donna di procurarsi da sola redditi adeguati, la volontà di attivarsi nella ricerca di un lavoro e le offerte d’impiego effettivamente respinte.
La Suprema Corte ha rinviato la causa innanzi alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità. (Fonti: Money, Studio Cataldi La Legge per tutti, Altalex)
di Francesca Caracò