L’Istituto per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) ha in corso di pubblicazione uno studio presentato in anteprima il 12 maggio nel webinar “il servizio civile universale: un’opportunità per i giovani”, in collaborazione con il Forum Nazionale del Terzo Settore e Arci Servizio Civile.
Il Servizio Civile è dal 2002 una realtà vitale che ha coinvolto oltre 500.000 giovani volontari su tutto il territorio nazionale. Il Presidente dell’Istituto prof. Sebastiano Fadda ha definito il servizio civile come “una vera scossa per il lavoro giovanile”, poiché si è rivelato uno strumento efficace nell’ottica del potenziamento delle probabilità di trovare occupazione, ma anche in termini di integrazione e riduzione del rischio di esclusione sociale.
Lo studio dell’INAPP ha evidenziato che il Servizio Civile innalza i livelli di occupazione e occupabilità, riduce il tasso di inattività, aiuta a riorientare le scelte professionali dei giovani che vi partecipano, a prescindere dal background familiare di provenienza.
L’INAPP ha costruito un “indice di occupabilità”, ricavato da quattro macro-aree (formazione, attivazione, esperienze, mobilità), tale indice mostra un incremento del 12% per i volontari dopo il Servizio Civile. A due anni dall’esperienza, il 60% dei volontari risulta occupato, mentre il tasso è del 50,1% tra i volontari ex-neet (persone non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione). Sempre nel biennio successivo allo svolgimento del servizio civile, il tasso di inattivi scende dal 10% all’1,2% e il 67% dei volontari lo ritiene utile per il proprio progetto professionale, mentre il 20% ha cambiato idea sul proprio futuro durante tale esperienza.
L’analisi dell’INAPP sembra confermare anche la strategia del Piano nazionale di ripresa e resilienza che considera il Servizio Civile tra le misure di politica attiva importanti per rilanciare l’occupazione giovanile, tanto da investire 650 milioni di euro per il prossimo triennio.
Il Presidente Fadda evidenzia che gli effetti della pandemia ci dicono che sono stati soprattutto i giovani ad essere maggiormente colpiti, con il tasso di disoccupazione di chi ha meno di 30 anni di ben tre volte maggiore rispetto a quello dei lavoratori più anziani. Sul fronte dell’occupazione si conferma l’incidenza rilevante dell’area geografica e del titolo di studio, al punto che i giovani neet del Nord arrivano a registrare un 77% di occupati a due anni di distanza.
Dopo lo svolgimento del servizio civile invece l’occupabilità aumenta in modo trasversale ed ampio, indipendentemente dai profili socio-anagrafici dei volontari e dai livelli di occupabilità di partenza (+12%). L’aumento dei livelli di occupabilità riguarda oltre la metà dei soggetti, poco più del 20% ha mantenuto livelli stabili e meno del 25% registra una lieve diminuzione. L’aumento dell’occupabilità è trasversale rispetto alla partenza: anche chi proveniva da livelli “bassi” o “molto bassi”, dopo il Servizio Civile, fa registrare tassi di inserimento lavorativo piuttosto elevati.
Questi dati mostrano come l’effetto positivo del Servizio Civile sulla occupabilità si distribuisca in maniera abbastanza omogenea su tutti i volontari e non dipenda dal livello di occupabilità in partenza.
In generale l’occupabilità assume valori maggiori fra le donne, cresce a crescere dell’età, fra chi proviene da famiglie con background alto o medio-alto e, a livello geografico, si conferma la spaccatura fra Nord e Sud del Paese, per cui il livello generale di occupabilità nella nostra popolazione è più alto fra i volontari del Centro e del Nord, rispetto ai volontari del Sud e delle Isole.
La quasi totalità dei partecipanti (97%) rifarebbe l’esperienza del Servizio Civile, il 90% pensa di aver accresciuto le proprie competenze relazionali e di aver capito meglio sé stesso.
Il profilo dei giovani che hanno partecipato al Servizio Civile è caratterizzato da una forte componente femminile (65,5% del totale) che cresce all’aumentare dell’età, molto istruita (43% di laureate e 52% di diplomate in fase di candidatura). Mentre la componente maschile è più giovane e meno istruita (19% di laureati e 70% di diplomati in fase di candidatura).
Questo fa ipotizzare che le donne scelgano il servizio civile come momento di “specializzazione” e gli uomini come “occasione di attivazione”.
La ricerca INAPP registra una componente meridionale, che proviene da contesti familiari svantaggiati, e una componente centro-settentrionale che proviene da famiglie di livello più alto. Questo dato suggerisce una particolare attenzione alla fase di selezione dei candidati, che sembra avvantaggiare profili particolarmente “performanti” nella sua selezione ordinaria, a svantaggio di profili caratterizzati da un titolo medio-basso o da background familiari più critici.
Dal 2001 al 2017 il servizio civile ha coinvolto mediamente 28mila giovani l’anno, a fronte di una domanda più che doppia rispetto ai posti disponibili, con punte di circa 86mila giovani nei due anni 2016 e 2017, pari allo 0,49% e 0,77% della popolazione italiana fra i 18 e i 28 anni di ciascun anno. In prospettiva, con la Riforma del Servizio Civile Universale, che mira ad avviare 100mila giovani l’anno, il servizio civile potrebbe raggiungere l’1,55% della popolazione di riferimento (2% tra quanti non lavorano), complice anche il calo demografico.
Il Servizio Civile è pertanto una strada da rendere sempre più percorribile per i giovani anche per renderli più partecipi, cives appunto, nella società che li dovrebbe vedere protagonisti.
di Rosaria Russo