Nel mondo del lavoro, ormai in quasi tutti i settori produttivi è frequente il ricorso a manodopera salariale non direttamente assunta, al fine di poter ovviare alla cura di tutti i gravosi adempimenti previsti dalla legge in capo ai datori di lavoro, fin dal momento genetico di nascita del rapporto di lavoro ove, in sostanza, il primo passo determinante – da dover cogliere – per il datore di lavoro (reclutatore di manodopera) è la scelta di personale realmente qualificato, momento propedeutico essenziale per la salvaguardia dell’incolumità del lavoratore assunto e del complessivo organigramme, che vi ruota intorno, onde prevenire gli ormai troppo frequenti fenomeni infortunistici legati, sostanzialmente a deficit applicativi di sicurezza aziendale, in triste aumento anche per imprudenza, imperizia, inesperienza e poca formazione del personale assunto, che in buona fede si affida alla cura del datore di lavoro, in ordine a tutto ciò che dovrebbe attuare per la realizzazione di un efficace sistema di sicurezza, del quale, invece, sostanzialmente poco si occupa.
Sul luogo di lavoro, purtroppo, il lavoratore, il più delle volte, accetta supinamente ogni condizione offrendo anche prestazioni lavorative suppletive, non retribuite, evitando di mettere in discussione l’insicurezza dei luoghi, in cui presta la sua attività lavorativa e comunque tutto ciò che vi gravita intorno (in termini di angherie, molestie e ricatti occupazionali), ivi compreso ciò che appare, icto oculo, frammentario e deficitario in termini di sicurezza aziendale, pur di non perdere l’occupazione lavorativa. Un obiettivo sempre più difficile da raggiungere e ancor più gravoso da mantenere in un sistema economico aziendale, permeato da crisi continue e da una congerie di modelli occupazionali flessibili (a tutto danno del lavoratore che ambisce a ricercare il minimo vitale per poter sopravvivere), ma che non eccelle in termini di garanzia di occupazioni di lunga durata .
È pur vero che anche dove tutto l’armamentario aziendale sembra eccellente, è sempre più in aumento la prassi aziendale di non voler affidare certi compiti a personale non adeguatamente preparato, dovendo mettere in cantiere altre risorse su cui investire per poterlo formare.
Il corretto utilizzo degli strumenti aziendali, presenti sui luoghi di lavoro, sempre più ingegnerizzati, opzionati dalla classe imprenditoriale per poter ottimizzare le prestazioni lavorative e massimizzare i risultati aziendali, è la principale ragione per la quale spesso la scelta non è quella di assumere direttamente, anche per non correre il rischio di reclutare figure professionali, sprovviste di adeguata formazione, competenza, esperienza e preparazione.
Per non parlare delle ulteriori, indispensabili, fasi, correlate alla redazione e scelta della tipologia contrattuale da intessere, al fine di poter oculatamente salvaguardare anche gli interessi economici aziendali ed evitare di investire in lavoratori non ritenuti idonei al ruolo, in quanto va da sè che, anche intendendosi superato con successo l’iniziale periodo di prova, a meno che non si verifichino fatti gravi, lo stesso normalmente s’intende, il più delle volte superato con successo.
Ma ciò non vuol dire che l’imprenditore abbia investito bene, opzionando una forza lavoro anzichè un’altra, ragione per la quale, onde evitare di dover ricorrere a licenziamenti (per quanto motivati da scarsa produttività ed incompetenza funzionale nell’espletamento dei compiti), la classe imprenditoriale oggi, proprio per ovviare ad una serie di problematiche reali, che si verificano, quando decide di non confermare quel rapporto di lavoro o di interromperlo anzitempo, per quanto il tutto motivato da reali condizioni di natura oggettiva o soggettiva, sceglie di ricorrere all’utilizzo di personale non direttamente assunto, garantendosi il risultato operativo e produttivo, previsto con costi minimali, che gli evitano di incorrere in vicende e problematiche incresciose, legate a valutazioni errate nella scelta del personale.
Questa è una delle ragioni fondamentali, per le quali si tende a far ricorso alla somministrazione di manodopera e spesso anche all’appalto (e sub-appalto) di servizi.
È opportuno chiarire che, con la somministrazione di manodopera si provvede a fornire ad altro soggetto giuridico (aziende, cooperative ed altre compagini aziendali, che operano nel mondo del lavoro) personale direttamente assunto da agenzie somministratrici, in carico alle quali sussistono tutti gli adempimenti di natura gius-lavoristico previdenziale.
Si tratta di soggetti espressamente autorizzati dal Ministero del lavoro.
È un contratto molto frequente che presenta similitudini funzionali con il contratto di appalto di manodopera, in quanto in entrambi i casi vi è un soggetto che a monte mette a disposizione lavoratori, ma presenta un elemento di varianza e dissonanza, rilevabile dalla finalità gestionale del ricorso ad entrambi gli istituti, atteso che mentre nella somministrazione si mette a disposizione di un altro datore di lavoro personale, perché possa implementare e rappresentare un elemento aggiuntivo alla produzione aziendale di chi ne richiede la fornitura, nell’appalto si offre un servizio (un’opera finita), attraverso proprio personale ed un’ organizzazione di mezzi e strumenti produttivi, che fa capo allo stesso appaltatore, finalizzata alla realizzazione dell’opera commissionata dal committente.
Quando l’appalto è richiesto per la realizzazione periodica di servizi diventa poco dissimile, nella sostanza, dalla somministrazione in quanto il personale qualificato, che si utilizza per la realizzazione dell’opera è l’elemento portante di entrambe le fattispecie, ma il carico retributivo, relativo al personale occupato ed ogni ulteriore aspetto correlato (contribuzione da versare, vigenza e validità dei contratti intercorsi con i lavoratori e tutto ciò che ne consegue) è a totale carico dell’appaltatore.
Per altro verso, nel caso in cui si somministra personale da parte di agenzie abilitate, il personale qualificato fornito per implementare il flusso occupazionale dell’azienda utilizzatrice ed accrescerne il flusso produttivo, ricade esclusivamente sull’agenzia somministratrice di manodopera.
Tuttavia sono frequenti le casistiche di somministrazione illecita, in cui si incorre quando ci si rivolge ad aziende non autorizzate dalla legge.
Al fine di poter evitare di ricorrere a fornitura di personale in frode alla legge le parti possono procedere alla certificazione, ovvero fare ricorso alla procedura con la quale si affida ad una commissione di certificazione il compito di qualificare il contratto, iter che si conclude mediante la redazione di un documento amministrativo di certificazione, che conferisce piena chiarezza e legalità al complessivo patto di somministrazione.
In assenza di tale istruttoria procedurale, non si ha l’effettiva certezza di aver fatto effettivo ricorso ad un’agenzia formalmente abilitata alla somministrazione di personale, ragione per la quale è possibile e frequente la ricaduta in forme di somministrazione abusiva con le possibili, inevitabili, forme di responsabilità di natura amministrativa che ne conseguono.
Da qualche anno la somministrazione illecita è stata depenalizzata ed è prevista a carico di entrambe le parti (azienda somministratrice ed utilizzatore) la sanzione di 50,00 euro per ogni lavoratore illecitamente somministrato, sanzione che viene irrogata solo nel caso in cui sia di importo superiore a 5.000 euro e comminata fino al tetto massimo di 50.000,00 euro.
Pertanto, è sempre preferibile prestare la massima attenzione ed attivare tutti i possibili canali di controllo, al fine di evitare di incorrere in responsabilità amministrative, abbastanza importanti, anche se purtroppo, l’esperienza insegna che quando talune fattispecie di somministrazione illecita si verificano, cosa che è davvero frequente, ciò accade, con piena consapevolezza e discernimento dei rischi che a monte, volutamente si intendono percorrere, scelte, illecite, opzionate per eludere le disposizioni di legge, previste in materia di lavoro e di previdenza, ma, principalmente, di tutela e sicurezza aziendale.
di Angela Gerarda Fasulo