In una città diventata Sacra, per tutti noi, l’Aquila, dove in una notte di un lunedì 6 aprile alle ore 0:32 una scossa violentissima di terremoto, tredici anni fa, ha falciato questa città scuotendo tutta l’Italia, piegandola in ginocchio, inerme e attonita davanti al dolore di chi ha subito in prima persona questa tragedia nel 2009. In questa città storica il silenzio dopo l’urlo feroce della terra, non poteva che essere restaurato e fatto risorgere con la musica attraverso questo concerto sublime che ne colma i vuoti e ne rinnova il ricordo, asciugando le lacrime del dolore e trasformandole in lacrime di gioia, di speranza, per impedire di chiudere gli occhi della memoria attraverso la meravigliosa esecuzione di questi giovani ed entusiasti allievi dell’ Orchestra dell’ Accademia del Conservatorio “Alfredo Casella”, diretta dall’egregio Direttore e violoncellista, il M° Guillaume Boulay. Il concerto si è tenuto nella sala Paper Concert Hall, in via Francesco Savini 7, opera dell’architetto Shigeru Ban, donata dal Giappone all’Aquila, come contributo significativo per la sua rinascita.
L’edificio fu inaugurato il 7 maggio 2011 con un concerto diretto da Tomomi Nishimoto, uno dei più celebri direttori d’orchestra giapponesi.
La Paper Concert Hall è il primo progetto in Italia di Shigeru Ban, scelto dal governo giapponese per quest’opera. Il governo giapponese ne propose, infatti, la realizzazione immediatamente dopo il sisma, ad attestare la sua vicinanza ai cittadini aquilani e la volontà di dare un contributo concreto alla ricostruzione materiale e alla rinascita morale dell’Aquila (sotto questo aspetto, vale la pena ricordare che l’opera ha visto la luce anche grazie al fondamentale ruolo dei giovani studenti universitari dell’Aquila, in collaborazione con quelli dell’università giapponese di Keio e dell’università di Harvard). Il governo nipponico si rivolse al noto professionista Shigeru Ban in quanto nel suo Paese era un nome di punta dell’architettura in cartone e bambù, e inoltre già progettista di numerosi interventi a Kobe in seguito al terremoto del 1995, attestanti la sua massima competenza nel settore dell’architettura anti–sismica.
Concepito come un grande tempio contemporaneo per il dio greco Apollo, divinità protettrice della musica, l’edificio si estende su una superficie di 700 metri quadri. La struttura è realizzata in acciaio e rivestita con sacchi d’argilla espansa rivestiti a loro volta da cartone precompresso.
Si tratta di una sala da 230 posti a sedere, adiacente la nuova sede del Conservatorio di Musica “Alfredo Casella” nel quartiere di Acquasanta.
Voglio dilungarmi ancora su questa opera architettonica, perché è un esempio di architettura contemporanea di particolare interesse non solo per la sua capacità di inserirsi con discrezione ed eleganza nel contesto paesaggistico circostante, senza invaderlo o alterarlo, ma anche per i materiali scelti per realizzarla, che ne fanno un edificio a spiccato carattere ecosostenibile. E soprattutto perché in questo odierno quadro politico dovrebbe essere preso come esempio per costruzioni e impiego di materiali ecologici alternativi a quelli che si usano comunemente, ed è un esempio di come si possono creare opere utili alla comunità, fatte con gusto e sicure, quando c’è la volontà, la voglia, la trasparenza e la consapevolezza di realizzarle senza speculare sulla pelle del popolo e sui morti, come già è accaduto e come accade ancora oggi.
(Materiale e notizie raccolte in Copyright 2009-2022- Architettura Ecosostenibile Ltd. Privacy Policy)
“È raro ascoltare concerti per chitarra e orchestra, poi addirittura quattro concerti in una sola serata, diventa un evento eccezionale…” rubo le parole del Maestro Senio Diaz, che ha chiuso l’evento con un breve ma sentito saluto agli alunni, colleghi, operatori del conservatorio e al caloroso pubblico presente, per il suo congedo come insegnante da questo meraviglioso conservatorio. Qui, insegnò l’esimio Franco Evangelisti. Uno tra i fondatori di “Nuova Consonanza” un gruppo nato a Roma nel ‘ 59, con Mauro Bortolotti, Domenico Guaccero, Egisto Macchi, Daniele Paris, Mario Bertoncini. Fu l’epicentro fondamentale della musica contemporanea, unitamente ad altri nomi illustri come il Maestro Antonello Neri già insegnante all’Aquila, che insieme al grande Maestro Ennio Morricone negli anni Sessanta ne presero parte attiva. Nel corso del tempo, negli anni ’70, si aggiunsero la chitarra del mitico Maestro Bruno Battisti D’Amario e la batteria del grande Vincenzo Restuccia. Un pezzo di storia fondamentale vissuta in questo autorevole conservatorio. “Nuova Consonanza ha rappresentato, e rappresenta tutt’oggi, il capitolo più importante della musica sperimentale, sia italiana che in ambito internazionale. […] Franco Evangelisti compositore e didatta, ha insegnato Musica elettronica al Conservatorio Alfredo casella dell’Aquila, che, peraltro, è stato il primo in Italia a sperimentare questa nuova didattica. Era il 1972 e l’ingresso della nuova disciplina evidenziava una vera e propria rivoluzione all’interno dei conservatori, una conquista che fino a qualche anno prima era impensabile fuori da quelle mura; entrare a far parte degli insegnamenti ufficiali delle scuole statali significava vederne riconosciuta la validità come materia principale e, implicitamente, che la sperimentazione era ormai entrata a far parte della cultura musicale.” (Gianni Ferrara Mazzucco, Maledetto ’68. Il Sessantotto attraverso la musica. 2018).
Direttore del conservatorio in quel periodo storico fu il pianista romano Gherardo Macarini Carmignani, e vale la pena di parlare di lui, fare qualche accenno alla sua arte, alla sua carriera, perché queste figure professionali coraggiose e dal piglio innovativo hanno contribuito alla crescita della nostra cultura, che aprì le porte alla sperimentazione e all’innovazione. Cosa che oggi purtroppo è carente. E questo deve servire come monito per chi verrà dopo, per chi si appresta ad entrare in questo mondo artistico difficile per la burocrazia che lo attanaglia e per le mancate risorse alla cultura, che stentano ad arrivare da parte dei governi che ci circondano, non capendo che il sostentamento a queste iniziative non solo contribuisce alla crescita e alla formazione dell’individuo e del cittadino, ma anche dal punto di vista economico arricchiscono i territori in cui vengono effettuate, e l’intero paese. Senza ombra di dubbi investire sulla cultura è più redditizio che investire in ogni altro campo commerciale.
“Macarini Carmignani fu allievo del Corso di Perfezionamento di pianoforte che Casella tenne per diversi anni nel Regio Conservatorio di Musica “S. Cecilia” di Roma e, dopo il Decreto del 22 giugno 1939, nella Regia Accademia “Santa Cecilia”. Con lui, Macarini Carmignani si diplomò nel 1940 con il massimo dei voti. Ma se scorriamo l’elenco dei docenti che formavano la prima pattuglia di insegnanti troviamo, forse, una risposta più soddisfacente. In tale elenco compaiono altri allievi di Casella: il pianista e compositore Armando Renzi e il pianista Franco Rampini ( i quali furono anche compagni di classe dello stesso Macarini Carmignani); ma anche alcuni dei più originali e significativi compositori d’avanguardia, fra gli anni Sessanta e Settanta: Domenico Guaccero, esponente di spicco nel panorama compositivo italiano e fondatore, insieme ad altri, dell’associazione “Nuova Consonanza”; Franco Evangelisti, già citato come docente all’Aquila del Corso di Musica Elettronica, il quale porterà nell’Istituto le esperienze maturate nel suo lungo periodo di formazione svolto in Germania; e Fausto Razzi, allievo di Goffredo Petrassi, autore attento alle nuove tecniche compositive. Qualche anno dopo, dietro suggerimento di Macarini Carmignani, Fausto Razzi scrisse “Tre pezzi per orchestra” destinati agli allievi appena entrati in Conservatorio nelle varie classi di studio, per abituarli da subito a familiarizzare con la musica ‘‘contemporanea’’; e, nel 1971/72, sempre Macarini Carmignani, provò a far nascere, all’interno dell’Istituto, anche un Centro Studi dedicato a Casella, organismo alla cui presidenza voleva il musicologo e ricercatore Guido Maggiorino Gatti, Presidente della Società Aquilana dei Concerti dal 1969 al 1973. Purtroppo, con il suo trasferimento a Pesaro, l’iniziativa non andò in porto né fu ripresa da altri. Il Conservatorio strinse rapporti di collaborazione con l’Accademia di Belle Arti aquilana dove allora insegnavano Sylvano Bussotti, Carmelo Bene, ed anche con la facoltà di Fisica dell’Università, volendo da un lato allargare gli orizzonti della musica alle altre arti ed alla scienza. Anche la biblioteca dell’Istituto assecondò la particolare attenzione del Conservatorio aquilano alle nuove tendenze musicali con un imponente piano acquisti di libri e spartiti di musica moderna e contemporanea, avviato da Michelangelo Zurletti, primo bibliotecario del ‘‘Casella’’. (Renzo Giuliani, DIBATTITI. Un Conservatorio chiamato Casella, Consaq.it-https://www.consaq.it).
Questo Conservatorio dovrebbe avere molto di più, essere valorizzato ancora di più, per la sua storia che rappresenta ancora oggi una tra le pagine più significative e importanti per il nostro paese e per tutta la cultura mondiale.
Apre la serata, dei quattro concerti per chitarra e orchestra, il Maestro Fernando Lepri con la sua meravigliosa chitarra firmata dal liutaio di Roma Leonardo De Gregorio, splendido strumento della liuteria italiana, che in questi ultimi anni si è fatta valere a livello mondiale. Il primo è il Concerto in Re Maggiore RV93 di Antonio Vivaldi in tre movimenti, Allegro, Largo, Allegro. Composto per liuto, due violini e basso continuo dedicata al conte Johann Joseph von Wrtby, personaggio molto in vista a Praga, e liutista dilettante. Scritta da Vivaldi intorno al 1731 durante un viaggio in Boemia. Il Largo centrale è un brano di struggente bellezza che a mio avviso, ricorda i paesaggi nebbiosi e avvolti dal silenzio della Boemia attraverso la linea melodica della chitarra che viene magistralmente accompagnata dalle armonie di note soffuse tenute dai violini, e dal pizzicato dei bassi, che sottolineano l’immagine di questo paesaggio. Nel secondo concerto, quello di Ferdinando Carulli: Concerto per chitarra e orchestra n.1, op.8 in La maggiore, in due movimenti Allegro e Polacca, pubblicato a Parigi nel 1809, l’organico si presenta più complesso: chitarra, due violini, viola, violoncello, due oboi, due corni, e flauto, composto nel 1808. Passiamo così, in un periodo storico in cui la chitarra iniziava un’ascesa fondamentale per la sua letteratura, con la pubblicazione anche di metodi di tecnica chitarristica e relativi studi, che nei primi di questo secolo condizionarono l’affermazione di questo strumento e di una vasta generazione di virtuosi didatti e compositori, autori italiani e non, sparsi in tutta Europa. La chitarra iniziava ad entrare nelle sale da gran concerto ottenendo un successo enorme, seguito da un pubblico sempre più esteso. Contemporaneamente a questo sviluppo l’orchestra si avviava verso un organico sinfonico, e la durata delle composizioni aumentava divenendo sempre più concettuale sia nella forma che nei tempi, rispetto alle composizioni del periodo precedente. In questo caso, il Concerto ha la durata media di sedici minuti.
Lo stesso Carulli, chitarrista e compositore napoletano, insieme a Mauro Giuliani e Francesco Molino che costituiscono il nucleo portante ed essenziale della chitarra, fu uno dei principali artefici di questo sviluppo compositivo e didattico, contribuendo così ad ampliare le possibilità dello strumento verso una espressività più ricca. Autore del Metodo completo per lo studio della chitarra, ancora oggi studiato e in programma per il diploma di chitarra classica in tutti i conservatori. In questa evoluzione storica, il liuto, ormai cade in disuso e viene sostituito dalla chitarra. Con questa composizione Carulli si presenta trionfalmente davanti al pubblico parigino, riscuotendo un notevole successo che gli assicurò una solida fama per gli anni successivi. Nel primo movimento, Allegro, l’articolazione compositiva è di netta marca virtuosistica permettendo al solista di mettere in luce e far risaltare le proprie abilità tecniche che si sviluppano sullo strumento solista con scale, semicrome, arpeggi veloci.
In questo il Maestro Fernando Lepri manifesta la propria sicurezza della padronanza tecnica ed espressiva ad alti livelli. La ripresa dei due temi viene esposta dal solista che ripropone il virtuosismo precedente seguito da una breve chiusa orchestrale con in seguito la cadenza della chitarra magistralmente eseguite dal Maestro Lepri. La Polonaise del secondo movimento, Polacca, rispecchia la danza popolare polacca, che in quel periodo era di moda in tutta l’Europa. Si apre con il tema principale scandito ritmicamente dal solista sopra un delicato pizzicato degli archi, ben eseguito dai giovani allievi. Tema che viene subito ripetuto dall’orchestra nel suo pieno. Il secondo tema è un preludio chitarristico in la minore, e anche qui, il Maestro Lepri mostra la sua solida preparazione teorica e tecnica, presupposti che gli consentono una profondità di interpretazione che va oltre la scrittura delle note sullo spartito.
Esecuzione impeccabile, pulita, trasparente, coinvolgente dove l’equilibrio degli archi sono ben amalgamati alla timbrica del tocco di Lepri, facendoci rivivere quell’atmosfera narrativa ricca di sfumature dell’arte della scuola compositiva italiana di quel periodo. Da sottolineare che sia il Concerto RV93 di Vivaldi che quello di Carulli sono frutto di un recente lavoro di revisione del Maestro Fernando Lepri.
È la volta del Maestro Roberto Vallini che esegue, con la sua chitarra Paulino Bernabè di Madrid, chitarra spagnola doc, il Concerto di Aranjuez, scritto a Parigi nel 1939dal grande compositore e pianista Joaquín Rodrigo, nato a Sagunto e morto a Madrid. All’età di tre anni fu colpito dalla difterite, grave infezione batterica presente solo nell’uomo che una volta entrata nel nostro organismo può addirittura distruggere organi e tessuti. A volte nemmeno i farmaci riescono a sconfiggerla. In seguito a questo sciagurato evento, perse completamente la vista a soli quattro anni. Parigi fu la seconda casa di Rodrigo dal momento in cui si recò per la prima volta in questa splendida città per studiare con il famoso compositore Paul Dukas, e dopo un breve rientro in Spagna, si trasferì ancora a Parigi per completare gli studi in musicologia. Di questa celeberrima composizione eseguita in tutto il mondo, colpisce senz’altro il secondo movimento, l’Adagio, diamante della musica del Ventesimo secolo ancora oggi più che vivo, e il dialogo della chitarra con il corno inglese, e qui vorrei citare, oltre che la squisita ed emozionante esecuzione del Maestro Vallini, il giovane componente dell’orchestra dell’Aquila di anni sedici, che ha eseguito la famosa melodia di introduzione preceduta dagli archi perfettamente fusi tra loro, con il suo corno inglese Marcello Lomarco. Ma voglio citare anche i giovanissimi Angelo Mordente, primo flauto, Filippo Santacroce, primo clarinetto, e Gabriele Pingue, primo fagotto.
Ho voluto richiamare l’attenzione sui nomi di questi giovani, prima di tutto perché hanno avuto un ruolo solistico, ma anche perché risultano già ottimi strumentisti, per la loro bravura interpretativa, per la loro sensibilità esecutiva e la bellezza del suono.
Il Maestro Vallini ha un curriculum vastissimo, dal diploma al conservatorio di S. Cecilia di Roma con Carlo Carfagna, ai corsi di perfezionamento con Alirio Diaz e Josè Luis Rodrigo e in seguito con Mario Gangi. Ha studiato armonia e composizione con Irma Ravinale, pianoforte con Ada Gentile, organo e Canto gregoriano con Flavio Benedetti Michelangeli. Ha suonato sotto la direzione di Claudio Scimone, Riccardo Muti, Gianluigi Gelmetti, e l’elenco sarebbe lungo. Aggiungiamo poi le collaborazioni con artisti interazionali come Renato Rascel, Lina Sastri, tanto per fare qualche nome. Ha alle spalle registrazioni radiofoniche con radio RAI, BMG, Radio Vaticana ecc. e collaborazioni con i più importanti teatri italiani. In questa sua interpretazione ha saputo regalarci il racconto di un viaggio andaluso, riscoprendo ed enfatizzando tutti i colori che appartengono a questa terra e ciò che il compositore ha descritto con le note, e Vallini, le ha sapute trasformare in pennellate di colori in tutta la sua perfezione. Fin dall’inizio si assapora la Spagna e la forza di questa terra e della sua musica, proveniente dal mondo arabo che ne ha lasciato l’eleganza, lo stile, trasformato poi, in cante hondo, che significa canzone profonda, con l’arte del flamenco. Tutto questo il Maestro Vallini ce l’ha comunicato nei suoi passaggi silenziosi e delicati, nei suoi momenti di colpi duri sulle corde esaltando con forza il mistero e la vita di questa terra espressa con maestria nella composizione che Rodrigo sviluppa nei tre tempi. La vita e il racconto della vita non si separano mai, solo così la vita si avvolge nel suo significato esistenziale. Alirio Diaz (padre) incise poco dopo il 1986 tale concerto. In quell’anno si incontrarono nella casa del compositore non vedente; Joaquín Rodrigo dietro le sollecitazioni e questioni puntuali del grande Alirio, lo autorizzò alla modificazione delle parti; si tratta ovviamente di alcuni punti che non modificano in alcun modo la bellezza e la sonorità della chitarra. Roberto Vallini con entusiasmo ha trascritto sulla sua parte tali modifiche che gli sono state date dal collega Diaz (figlio) con grande generosità. Dalla scala alla fine del primo intervento con la diteggiatura che utilizza le corde a vuoto (tipica sonorità del folklore sud – americano), ai cambi di ottava che posizionano in un registro più cantabile la voce dello strumento solista. L’energia di una forza irresistibile, dalle armonie tipiche del flamenco, eseguite nel rasgueado con il tocco che Vallini imprime sulla sua chitarra, e le melodie intrecciate con l’orchestra, perfetta, dei giovani allievi aquilani, ci hanno regalato quella struggente bellezza di questa musica, di questa calda terra spagnola.
Chiude la magnifica serata la chitarra firmata dal liutaio Antonio Scandurra di Catania, suonata meravigliosamente dal Maestro Senio Alirio Diaz, nella versione chitarristica di Andres Segovia, il Concerto per chitarra e orchestra op. 99 del compositore fiorentino Mario Castelnuovo-Tedesco. Contemporaneo al Concierto di Rodrigo che insieme a quello è tra le pagine più celebri ed eseguite della letteratura chitarristica del Novecento. Questo concerto è stato scritto negli Stati Uniti nel 1938, dove in quegli anni purtroppo difficili, il compositore fu costretto a trasferirsi, a causa delle leggi raziali nazi-fasciste. Questo sofferto periodo si avverte nella nostalgia presente nel movimento centrale, Andantino alla Romanza, che riporta accenni dei canti popolari toscani. Il committente di questo concerto fu Andres Segovia alla ricerca di lavori nuovi per un ampliamento del repertorio chitarristico, originali, e di autori contemporanei per arricchire di molto la qualità artistica di questo meraviglioso strumento, che è la chitarra. L’esecuzione e l’interpretazione impeccabile del Maestro Senio Alirio Diaz, si fondono con precisone con la sua grande tecnica, unita ad un magico tocco con cui riesce a emozionare e coinvolgere l’ascoltatore arrivando all’essenza espressiva di questo Concerto.
Infine, non possiamo che lodare con infinita ammirazione l’esecuzione equilibrata ed espressiva dell’Orchestra dei giovani allievi di questo significativo Conservatorio aquilano, sotto la guida e la preparazione del Maestro Direttore Guillaume Boulay, che ne ha curato ogni minimo dettaglio, ogni sfumatura, dal fortissimo al pianissimo e che ha saputo leggere, i tre Concerti nei diversi periodi storici, con una sua poetica interiore, dando spazio al canto delle melodie con un suono orchestrale perfettamente equilibrato nel suo complesso, con la chitarra, che ha un volume limitato, e vorrei a proposito sottolineare, che le tre chitarre non erano microfonate come di solito avviene, ma sono state suonate senza amplificazione, in modo naturale.
di Gianni Ferrara Mazzucco